di Piero Gualtieri (Firenze)
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Chi si trovi oggi a percorrere il tratto di via Bolognese all’altezza de La Lastra, fra il Poggiolino e Monterinaldi, magari in scooter alla ricerca di un po’ di refrigerio dalla calura estiva, farà fatica a immaginare quel piccolo pianoro, con gli olivi e i cipressi che occhieggiano dai muri di cinta delle ville, occupato dalle tende e dalle masserizie del piccolo esercito che vi stava accampato la mattina di lunedì 20 luglio 1304. Cavalieri, fanti e balestrieri (secondo le fonti circa 1.600 i primi e 9.000 nel complesso i secondi) vi erano giunti dalla sera precedente provenienti dal Mugello, e vi avevano posto il campo in attesa di muovere verso Firenze. Si trattava dei Bianchi fiorentini fuoriusciti, e delle truppe inviate a sostegno da Bologna, da Arezzo, e dai Ghibellini di Romagna.
Lontani dalla città ormai da più di due anni, da quando cioè la fazione rivale dei Neri aveva preso il potere in città grazie al decisivo intervento del ‘paciere’ Carlo di Valois, i Bianchi fiorentini si erano venuti sparpagliando fra le zone marginali del distretto e le città e i castelli controllati dai propri alleati, in attesa di poter rientrare in armi a Firenze. Dopo che presso l’abbazia benedettina di San Godenzo, nel giugno del 1302, i principali esponenti della Parte – fra cui Dante – avevano delineato una comune strategia di azione assieme ai Guidi e agli Ubaldini, le ostilità si erano fatte ancor più aspre, con il Mugello e il Chianti quali teatri principali delle operazioni. Nonostante l’impegno profuso, tuttavia, i risultati concreti erano stati per i Bianchi assai scarsi, essendo limitati alla difesa di alcuni castelli montani e alla minaccia ai rifornimenti granari di Firenze. I Neri, dal canto loro, si erano adoperati con intensità a rafforzare la propria posizione interna attraverso un uso spregiudicato ma politicamente avveduto della giustizia, e si erano mostrati refrattari a qualsiasi prospettiva di conciliazione (il tentativo di pacificazione promosso nel marzo del 1304 dal legato papale cardinale Niccolò da Prato venne in tal senso fortemente osteggiato). Sul piano esterno, in maniera coerente rispetto alle proprie premesse ideologiche, all’inizio di quello stesso mese di luglio del 1304 essi affidarono la guida militare della Taglia Guelfa toscana al figlio del re di Napoli, Roberto duca di Calabria.
Spinti da tali eventi ad agire con rapidità, prima che potesse concretizzarsi l’eventuale presenza dell’angioino a capo delle truppe fiorentine, i Bianchi decisero di provare con una soluzione di forza, e misero in piedi la spedizione che come abbiamo visto li condusse ad accamparsi a La Lastra.
Fra le varie componenti del contingente tuttavia non vi era accordo sulle mosse da compiere una volta giunti in vista di Firenze. I bolognesi, in particolare, non volevano muoversi fino a quando non fossero giunte le truppe di rinforzo da Pistoia (al comando dell’illustre esule fiorentino Tolosato degli Uberti) e da Pisa. Una tattica attendista rischiava però di vanificare le opportunità legate all’effetto sorpresa (peraltro già in parte sfumate col posticipo delle operazioni dal 19 al 20 luglio, secondo il Villani), e di compromettere definitivamente l’intera spedizione. I fuoriusciti fiorentini, inoltre, facevano conto sul sostegno concreto di parte della popolazione cittadina, e premevano per un’azione diretta.
Fu così che nel pieno della mattinata il Baschiera Della Tosa, giovane ed irruento capo fazione che credeva – per usare le parole di Dino Compagni – di ‘guadagnare il pregio della vittoria’, ruppe gli indugi e al comando degli altri fuoriusciti si appressò ai sobborghi cittadini, senza incontrare particolare resistenza. Al momento di varcare la Porta degli Spadai (posta grosso modo all’altezza dell’odierna chiesa di San Giovannino) egli riuscì addirittura a far innalzare l’insegna dei Bianchi su una delle case che ad essa si accostavano: invece di segnare il trionfo delle speranze dei Bianchi tale gesto rappresentò tuttavia il limite massimo delle loro conquiste. Le poche truppe Nere presenti in città infatti, rinforzate da un piccolo contingente giunto nella notte da Prato, si frapposero con decisione, riuscendo a incendiare la casa su cui era stata posta l’insegna. L’iniziale vittoria conseguita dal Baschiera e dai suoi si tramutò quindi rapidamente in una cocente sconfitta: preso dal panico alla vista delle fiamme, oppresso dal gran caldo che imperversava quel giorno, il resto delle truppe fuggì precipitosamente abbandonando i compagni – i morti furono circa quattrocento – in balìa dei difensori.
Gli alleati bolognesi, aretini e pistoiesi, questi ultimi giunti infine a La Lastra nel tardo pomeriggio, presero mestamente la via del ritorno: i fuoriusciti fiorentini, ‘rossa la tempia’ come Dante avrebbe rimarcato pochi anni dopo, avevano perso l’ultima occasione di rientrare in città con le armi in pugno.
Letture di approfondimento:
- R. Davidsohn, Storia di Firenze [1896-1908], 8 voll., Sansoni, Firenze 1956-1965, IV, pp. 394-399.
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 20 luglio 2012):
- Note sintetiche su Bianchi e Neri
- Significato del termine ‘fuoriuscitismo’
- Note biografiche su Carlo di Valois
- Note biografiche su Dante
- Note biografiche su Roberto d’Angiò
- Note biografiche su Baschiera Della Tosa
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