20 novembre 1781: il granduca Pietro Leopoldo firma il «Regolamento particolare per la Comunità di Firenze»

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di Antonio Chiavistelli (Università di Torino)
[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

Immagine del testo completo del Regolamento particolare della comunità di Firenze così come inserita nella raccolta delle Leggi e Bandi del Granducato di Toscana del 1781 (dal sito dell’Archivio Storico del Comune di Firenze)

Martedì 20 novembre 1781 il granduca Pietro Leopoldo siglò il Regolamento particolare della Comunità di Firenze. Si tratta di un atto che, oltre a costituire uno dei punti più qualificanti di quel progetto di riformismo illuminato avviato dal sovrano e dal ristretto gruppo di suoi collaboratori almeno un quindicennio prima, riveste una particolare importanza anche come atto fondativo della comunità di Firenze. Solo allora, infatti, questa fece la sua comparsa come soggetto amministrativo ‘autonomo’ rispetto ad un centro politico ‘regionale’ che, proprio in quel torno di anni, iniziava a proporsi come interlocutore di una pluralità di amministrazioni locali fino ad allora organizzate in maniera piuttosto farraginosa e che ancora operavano in base a Statuti di origine antichissima.

Con il Regolamento, invece, il Sovrano creò formalmente «un’Amministrazione comunitativa che, con il titolo di Comunità di Firenze, [avrebbe dovuto] soprintend[ere], e provved[ere] a certi oggetti di pubblico comodo ed utilità in luogo delle antiche Magistrature soppresse e riformate secondo che per i tempi esigevano le circostanze». Firenze, insomma, a partire dal novembre 1781 abbandonava il ruolo di città dominante per assumere quello più ‘moderno’ di capitale di uno Stato, quello lorenese, che fin dal 1737 era apparso intollerante nei confronti dei retaggi paternalistici lasciati in eredità dal regime mediceo. La riforma delle comunità costituisce una delle più evidenti testimonianze di intervento contro quel sistema di potere che i Lorena avevano trovato applicato al momento del loro arrivo in Toscana e in particolare contro la regolamentazione degli enti locali.

William Berczy, La famiglia di Pietro Leopoldo granduca di Toscana, 1781-82 ( Firenze, Galleria d’Arte Moderna). Immagine tratta da www.museogalileo.it

La riforma dell’amministrazione dello Stato, avviata a cavallo tra gli anni sessanta e settanta del Settecento, acquisì i contenuti di una riconfigurazione delle comunità condotta secondo il principio che «conforme al buon ordine e alle regole di giustizia [è] che gli affari economici sieno diretti ed amministrati da quelli che vi hanno il principale interesse». Il criterio con cui da allora in avanti anche a Firenze fu riorganizzato il ceto dirigente della comunità fu quello in base al quale chi più possedeva, maggior interesse aveva che la cosa pubblica fosse ben amministrata. L’identificazione dei soggetti «interessati» al buon governo delle comunità locali costituiva, d’altra parte, l’elemento qualificante e, al tempo stesso, più complesso del progetto di riforma.

Non vi è spazio per ripercorrere qui i dettagli dell’intenso dibattito che si svolse negli ambienti di corte e che vide posizioni contrapposte tra i collaboratori del Principe. Vale invece la pena di sottolineare come il Regolamento particolare introdusse a Firenze un nuovo criterio di accesso alle magistrature locali non più basato sulla ‘residenza’, bensì sul possesso dei beni stabili. Una novità epocale: i possessori divenivano i nuovi soggetti cui rivolgersi per la formazione di un’amministrazione cittadina efficiente.

Giuseppe Zocchi, Piazza della Signoria, sec. XVIII, collezione privata. A Palazzo Vecchio, dopo pochi anni dal varo del regolamento particolare, verranno trasferiti gli uffici della comunità di Firenze. © Web Gallery of Art,

Uno degli aspetti più originali del progetto riformista leopoldino, del resto, fu proprio quello di aver cercato di applicare alle amministrazioni locali del Granducato di Toscana un nuovo principio di rappresentanza fondandolo sul nesso proprietà-censo-interesse. Anche a Firenze, dunque, gli amministratori della comunità non sarebbero più stati scelti sulla base del titolo nobiliare e dei loro legami con gli originari fondatori del patto cittadino, ma sulla base delle loro proprietà. Si trattava, a ben vedere, del tentativo di applicare quel principio ‘proprietaristico’ che animava le riflessioni degli economisti fisiocratici che in quegli stessi anni, con Robert Jacques Turgot, avevano raggiunto anche funzioni di governo nella Francia di Luigi XVI.

Ma avrebbe funzionato? E quale fu l’impressione dei coevi cittadini di Firenze? Per citare solo un esempio, Giuseppe Bencivenni Pelli – un patrizio fiorentino già impiegato pubblico e osservatore attento della politica granducale – annotava nel suo diario (Efemeridi) con queste parole quell’evento di fine novembre 1780: «finalmente con editto del dì 20 del caduto, compreso in 75 articoli uscì ieri l’altro il Regolamento per la nuova Comunità di Firenze da cominciare a marzo prossimo. La cosa è buona, ma è stata digerita da chi non ha cuore né talento, sicché nel principio produrrà della confusione, dello scompiglio, e dell’aggravio per molti. […] Si assesteranno le cose col tempo, ma una rottura di ossa resta sempre col callo, ed il doverla medicare costa indispensabilmente del dolore».
Per quanto dettato ‘a caldo’, questo giudizio in chiaroscuro del nostro diarista parrebbe aver colto nel segno perché se l’impatto del nuovo Regolamento sui tradizionali assetti del potere cittadino fu davvero notevole – e per certi aspetti brutale –, il criterio ‘proprietaristico’ che allora si inaugurò sarebbe rimasto alla base del sistema di selezione dei ceti dirigenti locali e ‘regionali’ – seppur secondo logiche censitarie – all’interno dello spazio toscano per molti decenni ancora, almeno fino alla confluenza del Granducato nel Regno d’Italia nel 1860.
Letture di approfondimento:
  • B. Sordi, L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana leopoldina, Milano, Giuffrè, 1991.
  • F. Diaz, L. Mascilli Migliorini, C. Mangio, Il Granducato di Toscana. I Lorena, Torino, Utet, 1997.
  • A. Chiavistelli, Un nuova costituzione territoriale. La riforma comunitativa di Pietro Leopoldo, in Poteri centrali e autonomie nella Toscana medievale e moderna, a cua di G. Pinto, L. Tanzini, Firenze, Olschki, 2012, pp. 157-177.
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 20 novembre 2012):

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