di Francesco Salvestrini (Università di Firenze)
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È facile immaginarlo gelido e grigio quel mercoledì di quaresima, 13 febbraio 1068, quando migliaia di fiorentini (chierici, laici, donne e ragazzi) si raccolsero davanti al sagrato di San Salvatore a Settimo, nelle plaghe fangose ad ovest della città. La gente invocava il conforto dei monaci, che da molti anni propugnavano il ritorno della Chiesa alla purezza del dettato evangelico. I cristiani stavano allora vivendo una difficile stagione di “riforma”, e i religiosi rifugiatisi nell’antico cenobio del suburbio fiorentino sotto la protezione dei conti Cadolingi, si ergevano a giudici di alcuni alti prelati ai quali non intendevano più prestare obbedienza. L’accusa era quella di simonia: aver acquistato cioè le loro dignità attraverso un indegno esborso pecuniario. I monaci erano seguaci di Giovanni Gualberto, professo di San Miniato al Monte, che aveva abbandonato tale comunità dopo aver accusato, di fronte a un’incredula cittadinanza, tanto il proprio abate quanto il vescovo fiorentino Attone di essere eretici simoniaci.
Vescovo era adesso il pavese Pietro Mezzabarba, che con molta probabilità aveva versato anch’egli una cospicua somma di denaro per assurgere a tale carica, prestigiosa e remunerativa. Giovanni e i suoi compagni, da tempo ritiratisi nella Vallis Ymbrosa, sulle pendici nord-occidentali del Pratomagno, avevano reiterato anche contro di lui le loro denunce, guadagnando la simpatia dei fedeli. Tuttavia una parte cospicua del clero riformatore che faceva capo al pontefice Alessandro II, pur rigettando ogni forma di corruzione sacerdotale (simonia, nicolaismo, concubinato), non ammetteva che dei laici, sia pure religiosi, quali erano in effetti i benedettini, incitassero ad abbandonare i propri pastori e a rifiutare i sacramenti impartiti dai chierici peccatori.
Dopo che una sinodo romana, convocata nel 1067 su pressione del riformatore Pier Damiani, aveva imposto ai monaci provenienti dalla Toscana di cessare ogni azione nel secolo per tornare a pregare al chiuso delle loro celle, gli accesi contestatori, diffidando ormai delle alte gerarchie, lanciarono una sfida al vescovo ritenuto indegno: se un seguace di Giovanni fosse riuscito ad attraversare indenne una pira appositamente allestita, ciò avrebbe significato che l’accusa era fondata, che Dio stava dalla loro parte e che Pietro Mezzabarba aveva agito da simoniaco. La prova avrebbe dovuto svolgersi presso il monastero di Settimo perché questo era stato governato dall’abate Guarino, uno dei più attivi tra i radicali del partito riformatore. I fedeli fiorentini e una parte del clero capitolare accolsero tale istanza. Uno sdegnoso rifiuto fu invece opposto dal vescovo, che non volle in alcun modo avallare un atto di sfida profondamente lesivo della sua autorità.
Come riferisce una lettera inviata al pontefice dal clero fiorentino per informarlo nel dettaglio dei fatti accaduti, la gente accorsa chiese ai monaci di poter conoscere, attraverso un prodigio rivelatore, chi fra i contendenti fosse portatore della verità. I religiosi risposero positivamente alle loro richieste. Così, mentre il popolo ammassava la legna e formava due cataste messe per lungo l’una di fronte all’altra, i monaci intonavano litanie e suppliche. Pietro, il prescelto, in seguito detto Igneo, celebrò la messa, poi venne acceso il fuoco. Man mano che le fiamme divampavano il giovane monaco chiedeva aiuto a Dio, invocandone la presenza e l’azione a sua difesa. Dopo le benedizioni, accompagnato dalle preghiere e dalle letture dei confratelli, tenendo in mano un crocifisso, Pietro affrontò «lento e solenne» la pira a passò indenne tra le fiamme, acclamato dalla folla come un messo della Provvedienza.
Alcuni storici hanno considerato questo celebre episodio un’ordalia, vale a dire un ‘giudizio di Dio’ attraverso cui si chiedeva al Signore se un accusato fosse colpevole oppure innocente. È difficile credere, però che, di fronte alle obiezioni sollevate durante la sinodo romana proprio nei confronti di una prova del genere, e consapevoli che metodi come questo venivano censurati anche dallo stesso partito riformatore, difficilmente i monaci avrebbero tentato in tale forma l’imperscrutabile giudizio divino. Per di più Pietro Igneo non era l’accusato, colui al quale nelle ordalie si metteva in mano un ferro rovente, ma il rappresentate degli accusatori. Giovanni Gualberto sapeva di compiere un’azione dirompente, qualcosa che violava non solo la non giudicabilità dei vescovi, ma la stessa tradizione patristica, secondo la quale solo nell’unità col proprio pastore la comunità dei fedeli si ricongiungeva a Cristo. La matrice di tale atto va dunque probabilmente cercata nella bibbia, e in particolare nell’episodio dei tre fanciulli (Sadrac, Mesac e Abdènego) gettati nella fornace ardente per volontà di Nabucodònosor e salvati dall’angelo di Dio perché pronti a morire piuttosto che rinnegare la loro fede nell’Eterno (Dn 3,13-97). Il passo è infatti esplicitamente richiamato nell’epistola del clero fiorentino.
Immediata conseguenza della prova di Settimo fu che papa Alessandro, moderato riformatore, dovette accondiscendere alla deposizione di Pietro Mezzabarba, che pur avendo cercato aiuto nel marchese di Tuscia, fu costretto a lasciare la città, rifugiandosi nell’abbazia di Pomposa. Firenze assunse negli anni successivi un ruolo di primo piano nel contesto della riforma ecclesiastica. Ai suoi monaci fu riconosciuto un ruolo soprattutto dal movimento dei patarini lombardi e dagli altri rigoristi attivi in quell’epoca, a partire da papa Gregorio VII.
Letture di approfondimento:
- G. Miccoli, Pietro Igneo. Studi sull’età gregoriana, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1960.
- A. Benvenuti, San Giovanni Gualberto e Firenze, in G. Monzio Compagnoni (a cura di), I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII, Atti del I Colloquio vallombrosano (Abbazia di Vallombrosa, 3-4 settembre 1993), Vallombrosa, Ed. Vallombrosa, 1995, pp. 83-112.
- F. Salvestrini, La prova del fuoco. Vita religiosa e identità cittadina nella tradizione del monachesimo fiorentino (seconda metà del secolo XI), «Annali di Storia di Firenze», 2013, di prossima pubblicazione.
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è verificato il 13 febbraio 2013):
- Sito di San Salvatore a Settimo
- Scheda sulla “riforma” della Chiesa
- Scheda sui conti Cadolingi
- Scheda sul significato di “simonia”
- Note biografiche su Giovanni Gualberto
- Sito di San Miniato al Monte
- Note biografiche su Attone
- Note biografiche su Pietro Mezzabarba
- Scheda su Vallombrosa
- Note biografiche su Alessandro II
- Scheda sul significato di “sinodo”
- Note biografiche su Pier Damiani
- Scheda sull’ordalia
- Scheda sull’abazia di Pomposa
- Scheda sulla pataria e i patarini
- Note biografiche su Gregorio VII
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