27 febbraio 1921: i fascisti assassinano Spartaco Lavagnini

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di Matteo Mazzoni (Istituto Gramsci Toscano)

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

 

1)Spartaco Lavagnini, al centro della foto

27 febbraio 1921: una giornata di particolare efferatezza nel contesto di “ordinaria” violenza che caratterizza il primo dopoguerra a Firenze, così come in tutta Italia. La penisola è uscita provata e lacerata dalla partecipazione alla Grande guerra. Aspirazioni e delusioni personali, interessi economici e bisogni sociali contrastanti, divisioni politiche e ideologie contrapposte – fra il mito della rivoluzione per “fare come in Russia” nel 1917 e quello della “Vittoria mutilata” – scuotono il debole stato nazionale e infiammano la società italiana. In questo contesto si inserisce il movimento fascista di Benito Mussolini che si fa paladino di patrioti ed ex combattenti. Il rapido abbandono delle istanze repubblicane, laiche e socialisteggianti a favore di una svolta nazionale, monarchica e autoritaria, l’organizzazione paramilitare del nuovo movimento (le squadre d’azione) e il ricorso sistematico alla violenza contro gli avversari, ne fanno presto il punto di riferimento dei vecchi ceti dominanti che non esitano a finanziarlo e sostenerlo. Anche a Firenze l’efficacia dell’azione violenta è l’elemento che segna la svolta e trasforma il debole e diviso fascio delle origini (fondato il 18 aprile 1919) nel punto di riferimento dei vecchi gruppi di potere e dei ceti medi, in particolare dopo la pesante sconfitta subita da questi in occasione delle elezioni amministrative dell’autunno del 1920, quando socialisti e popolari hanno conquisto il governo dell’amministrazione provinciale e di tutti i comuni della provincia con la sola eccezione della città del Giglio.

 

 

1)Squadra d’azione “La disperata”

Il 27 febbraio 1921, verso mezzogiorno, mentre al teatro Gymnasium un giovane giurista, di nome Piero Calamandrei, si appresta a concludere la rievocazione di Luigi Bertelli, detto Vamba, autore del Giornalino di Gian Burrasca, da poco scomparso, il fragore di un’esplosione scuote gli astanti. Ignoti hanno appena lanciato una bomba su un corteo di liberali e patrioti che, percorrendo via Tornabuoni stava dirigendosi in Piazza dell’Unità per deporre una corona al monumento ai caduti di tutte le guerre. Un carabiniere, colpito in pieno, muore davanti a San Gaetano; vi sono molti feriti, si diffonde un panico generale. I fascisti sono immediatamente pronti all’azione sotto la guida di Dino Perrone Compagni, ras emergente, da poche settimane segretario politico regionale del movimento. Questi sa ben sfruttare l’occasione per mostrare la forza del movimento e la sua capacità di garantire ordine e sicurezza contro ogni tentativo di sovversione. Dal primo pomeriggio, radunatesi con invidiabile rapidità, cinque squadre fasciste scorrazzano per il centro, entrano in caffè e pasticcerie, buttano fuori a calci i clienti, impongono ai proprietari di abbassare le saracinesche in segno di lutto. Per strada fermano i passanti, si fanno dare i documenti, minacciano, vogliono far capire chi comanda in città.

 

 

apide commemorativa, in Via Taddea n. 2

Al tramonto, un gruppo di circa 30 squadristi entra nella sede del sindacato dei ferrovieri, al n. 2 di via Taddea. Nello stesso stabile vi sono la federazione provinciale del Partito comunista d’Italia e la redazione del periodico «Azione comunista». In tre salgono al primo piano, aprono la porta e vi trovano un uomo seduto dietro una scrivania, una sigaretta in bocca. Nemmeno una parola, solo un colpo di pistola. L’uomo cade a terra, ferito sotto il naso. Viene finito con un colpo in testa, nell’orecchio sinistro. I tre devastano la stanza, poi mettono il cadavere sulla sedia, infilandogli la sigaretta in bocca in una macabra rievocazione.

 

Così muore, in modo truce e vigliacco, Spartaco Lavagnini, figura simbolo del movimento operaio e dell’opposizione al nascente fascismo. Questi, cortonese d’origine (era nato nel 1889), si era trasferito a Firenze trovando lavoro nelle ferrovie come impiegato dal 1907 ed era diventato ben presto leader sindacale e politico, aderendo alla corrente rivoluzionaria del partito socialista. Nel 1914 gli era stata affidata l’amministrazione del periodico del partito «La Difesa», di cui era diventato direttore dal 1918 al ’19; nel 1920 alle elezioni amministrative autunnali era stato eletto in Consiglio provinciale. Esponente della corrente comunista, nel gennaio del 1921, dopo la “scissione di Livorno”, aderisce al neonato Partito comunista d’Italia e diventa primo segretario della sezione fiorentina e direttore del periodico «Azione comunista». Lavagnini è quindi un simbolo ideale da colpire per lo squadrismo fiorentino che non si lascia sfuggire l’occasione determinata dai tumulti del 27 febbraio.

Nel crepuscolo di quella giornata i fascisti lasciano la casa. Nei giorni successivi ferrovieri e tranvieri scendono in sciopero e gli scontri dilagano in città, mentre in San Frediano sono alzate le barricate fino all’arrivo dell’esercito che reprime la rivolta “sovversiva” trascurando le violenze squadriste. Le giornate della violenza siglano il nuovo patto fra fascisti e vecchi centri di potere. Dopo il tragico tramonto del 27 febbraio 1921, incombe ormai su Firenze la buia notte del fascismo.

 

Letture di approfondimento

  • R. Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino 1919-1925, Firenze, Vallecchi, 1972.
  • La formazione del partito comunista in Toscana, Firenze, Istituto Gramsci Toscana, 1981.
  • S. Caretti – M. Degl’Innocenti, Il socialismo in Firenze e provincia (1871-1961), Pisa, Nistri-Lischi, 1987.
  • M. Franzinelli, Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2004.
  • F. Fabbri, Le origini della guerra civile. L’Italia dalla guerra al fascismo (1918-1921), Torino, Utet, 2009.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 27 febbraio 2013):


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