11 settembre 1943: i nazisti occupano la città

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di Matteo Mazzoni (Istituto Gramsci Toscano)

 

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

L’11 settembre una colonna di mezzi blindati tedeschi entra in città, dirigendosi in piazza San Marco dove le truppe tedesche occupano il Comando di Corpo d’Armata. Gli ufficiali sono fatti prigionieri insieme al loro comandante, il gen. Chiappi Armellini, mentre i mezzi corrazzati raggiungono i punti strategici di Firenze a partire dalle caserme che vengono circondate costringendo i soldati alla resa, come ricorda l’allora tenente Vittorio Valeri: “anche la Fortezza da Basso era compresa in questa capitolazione. La caserma fu occupata da un reparto tedesco comandato da un maggiore e le truppe furono così disarmate fra lo sbigottimento e lo sconforto generale”. Intanto i fiorentini assistono attoniti al passaggio dei grandi carri armati con le croci nere per le vie del centro e i lungarni. Mentre poche ore dopo si riaffacciano baldanzosi gli squadristi che erano scomparsi come neve al sole all’indomani del 25 luglio e della deposizione di Mussolini ad opera del Gran Consiglio del fascismo.

In poche ora l’illusione della fine della guerra suscitata due giorni prima, dall’aver ascoltato alla radio il capo del Governo, maresciallo Badoglio, comunicare alle ore 19,30 dell’8 settembre che l’Italia aveva firmato l’armistizio con le potenze alleate, si trasforma in un tragico incubo. Paiono lontane le emozioni e le speranze che avevano animato le case dei fiorentini e le manifestazioni di gioia che si erano avute il giorno dopo per le strade, nelle fabbriche, nelle caserme dove i soldati, pensando di tornare a casa, avevano iniziato a preparare gli zaini, prendendo quanto potevano dai magazzini. In pochi avevano posto l’attenzione all’ambigua chiusura di quel messaggio con l’ordine alle truppe di rispondere al fuoco se attaccate da qualsiasi parte fosse provenuta l’aggressione, di cui avrebbero presto sperimentato la drammatica attualità.

Non manca chi si preoccupa della possibile reazione dei tedeschi, soprattutto fra i vertici dei partiti antifascisti riemersi dalla clandestinità dopo il 25 luglio e riuniti nel Comitato del Fronte nazionale. Per questo richiedono sia al prefetto sia al gen. Armellini comandante territoriale di Firenze di definire un piano d’azione comune contro l’ex alleato e, in particolare, di distribuire le armi ai civili ottenendo solo dinieghi per l’assenza di ordini superiori. Il generale Armellini consiglia la calma. Ma tutto ormai precipita. Mentre la casa reale dei Savoia, Badoglio, alcuni ministri e generali, fuggiti da Roma, sono in fuga verso la Puglia, lasciando il Paese e le forze armate senza ordini, le armate naziste hanno già iniziato a muoversi. Del resto, fin dalla caduta di Mussolini, Hitler, non fidandosi più del governo italiano e non intendendo lasciare agli angloamericani la penisola senza combattere, ha fatto scendere in Italia numerose unità militari. Il dittatore tedesco, infatti, può permettersi di perdere la penisola senza combattere per la posizione strategica che questa ha per le sorti militari della Germania. Così subito dopo la comunicazione dell’armistizio, i nazisti possono tutelare i propri interessi bellici, occupando il Paese, ma anche vendicarsi immediatamente degli italiani cui non viene perdonato il tradimento dell’alleanza sottoscritta con il Patto d’acciaio sottoscritto nel 1939.

Prive di ordini le forze armate italiane sbandano e si sgretolano. Quando possono, ufficiali e soldati fuggono, abbandonando le divise, per cercare di tornare a casa, spesso aiutati dalla popolazione che assiste attonita al “fiume” di militari in fuga, offrendo spesso abiti civili, cibo, ripari temporanei. Solo in pochi casi i soldati italiani cercano di contrastare le truppe germaniche rispondendo con il fuoco all’intimazione della resa. Così avviene all’isola d’Elba come a Piombino o a Cefalonia nel mar Egeo dove l’intera divisione Acqui decide di sacrificarsi combattendo. Così al passo della Futa si tenta di contrastare l’avanzata della colonna tedesca verso Firenze, ma i pochi mezzi e gli ordini di ritirata spingono i soldati a ripiegare su Firenze dove tuttavia la resa è immediata, senza alcuna prova di forza. A parte pochi fortunati che riescono a sfuggire alla cattura scappando nelle fogne della città, per i soldati dislocati alla Fortezza e nelle caserme della città – così come per oltre seicentomila militari italiani che si rifiutano di combattere con i nazisti – inizia il dramma dell’internamento nei campi di concentramento del reich dove saranno sfruttati come schiavi, ricevendo la qualifica di “internati militari”, così da essere privati anche delle tutele spettanti a livello internazionale ai prigionieri.

I militari sono così i primi a comprendere il drammatico mutamento della situazione. Nei giorni successivi i bandi del Comando militare tedesco che tappezzano i muri di Firenze rendono chiaro a tutti chi comandi in città. Il 12 settembre viene comunicato che chiunque sia trovato in possesso di armi verrà fucilato, il 16 si ordina a tutti gli appartenenti alla milizia fascista di presentarsi nelle rispettive caserme, il 17 è vietata qualsiasi manifestazione, il 19 viene ordinato a tutti i militari di presentarsi ai rispettivi reparti, il 2 ottobre sono stabilite pene severissime per chiunque commetta atti di sabotaggio. In quelle stessi giorni tuttavia gli esponenti dei partiti antifascisti, tornati in clandestinità, riunitisi nel Comitato toscano di liberazione nazionale, avviano la lotta di Resistenza contro i nazisti e i loro alleati fascisti che, sotto la guida di Mussolini liberato dai tedeschi dalla prigionia sul Gran Sasso il 12 settembre, nelle settimane successive danno vita anche a livello locale all’esperienza della Repubblica sociale italiana, mentre proprio il fiorentino Alessandro Pavolini diventa segretario nazionale del Partito fascista repubblicano. Inizia così per Firenze – e per l’Italia – il difficile periodo dell’occupazione tedesca nel corso della quale le autorità naziste sottoporranno il Paese al ferreo sfruttamento di ogni risorsa materiale ed umana al servizio dell’economia del reich e delle molteplici esigenze delle truppe di occupazione fino al drammatico epilogo dell’estate del 1944.

 

Letture di approfondimento

  • M. Palla (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, Carocci, Roma 2 voll. 2006-2009
  • O. Barbieri, Punti sull’Arno, Polistampa, Firenze, 2003
  • C. Francovich, La Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze, 1961
  • Associazione nazionale ex internati, Resistenza senz’armi, Le Monnier, Firenze, 1988

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