Beato Angelico, Adorazione dei Magi. Firenze, Convento di San Marco, 1438-1446
di Paola Ventrone (Università Cattolica del “Sacro Cuore” – Milano)
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La «festa de’ Magi», come viene definita nei documenti, è uno degli spettacoli di più antica attestazione della Firenze repubblicana oligarchica, e celebrava il giorno dell’Epifania, il 6 gennaio, proponendosi come un momento di sintesi e di equilibrio fra la cerimonialità religiosa e quella cavalleresca che dominavano la sensibilità dei fiorentini dell’epoca.
Inizialmente introdotta in città, secondo la suggestiva ipotesi di Richard Trexler, dal ricco mercante Baldassarre degli Ubriachi nel 1390 in onore del proprio omonimo patrono, in un breve torno di tempo essa passò sotto la responsabilità di una compagnia di stendardo, composta da alcuni tra i principali cittadini di Firenze, che dalla festa prese probabilmente il nome eleggendola quale propria precipua occupazione. Lo spettacolo consisteva in una cavalcata che si snodava lungo un percorso prefissato di vie cittadine, variabile ma sempre collegato con il convento di San Marco dove il gruppo aveva sede, consentendo ai suoi membri di indossare abiti sfarzosi, solitamente vietati dalle leggi suntuarie, e di esibire le mercanzie più lussuose delle rispettive case commerciali, facendole trasportare da una moltitudine di animali da soma anch’essi ricoperti di stoffe preziose.
Proprio lo sfarzo che dominava l’immagine complessiva della celebrazione, e gli echi di una diplomazia regale ed esotica che trasparivano dall’ambasceria dei Magi ad Erode, dovettero contribuire a designare la festa come un omaggio della compagnia responsabile «ad honorem Dei et famam civitatis», ottenendole, fin dal 1417, un finanziamento comunale, le cui conseguenze si riverberarono sulla localizzazione urbanistica delle sue varie riprese. Nel 1429 (secondo lo stile di datazione attuale), infatti, la fisionomia della festa appare ben definita, così come la sua compenetrazione nel tessuto viario cittadino. In questi termini è descritta dal Priorista Paolo di Matteo Pietrobuoni: «Giovedì a dì VJ di gennaio 1428 [secondo il computo ab Incarnatione] si fecie la festa de’ Magi, et fu orrevole et bella festa. Et in sulla piazza de’ Signiori si fecie uno palcho a Santo Romolo che vi stette il significhato del re Roda ornato come re, et molti in sua compagnia col dirizzatoio di valuta assaj degli arientj che su v’erano. Incominciò la mattina la festa. Et bastò insino a ore XXXIIIJ detto dì sanza il dì dinanzi. E passò la mattina per la piazza detta e XX vestiti di camicj frateschi col significato di nostra Donna e ’l suo figliuolo. E andò in sul palcho alla piazza di San Marcho. Et dopo mangiare circha a settecento vestitj a chavallo furono, in tra’ qualj fu i tre Magi e i loro compagnj vestitj orrevolmente. Et delle belle cose che vi fu i’ loro, furono tre giughantj et uno huom salvaticho, e in su uno carro il significhato di Davittj, che uccise il giughante colla fronbola. E chi era per Davittj andava ritto innantj et molto destramente in sul charro. E lla via Largha dal chanto di San Giovannj insino alla piazza di San Marcho da ogni lato della via era palchettj e panche ornate di panchalj e tappetj e spalliere. Et era una bella chosa a vedere quello aparecchio in quella via».
Se nel 1390 il corteo muoveva dal convento di San Marco per approdare al Battistero dove si trovava la reggia di Erode, in questa edizione del 1429 il centro di partenza rimase sempre il medesimo, davanti al quale fu collocato il palco dei Magi, mentre un secondo luogo deputato fu costruito nella piazza dei Signori, costringendo così la schiera dei figuranti ad attraversare il cuore della città, sfilando davanti ai monumenti rappresentativi dell’autorità ecclesiastica, San Giovanni e duomo, per giungere al centro amministrativo del potere comunale contraddistinto dal palazzo pubblico. L’asse viario costituito dalla via Larga, dove di lì a poco sarebbe stata costruita la dimora dei Medici, fu per l’occasione addobbato da ogni lato secondo il costume delle celebrazioni solenni, con sedili ricoperti di tappeti e di stoffe, venendo così a identificare circoscrizionalmente la festa.
Oltre allo sfarzo che connotava i Magi e il loro seguito, è significativo l’impegno profuso dagli organizzatori nella rappresentazione del palazzo di Erode, intesa a evocare immagini di regalità improntate sugli usi delle corti francese e borgognona, che del lusso principesco costituivano il modello preminente diffuso in tutta Europa. Questo ideale riferimento è qui testimoniato dagli arredi del luogo deputato e, in particolare, dal «dirizzatoio di valuta assaj degli arientj che su v’erano». Si trattava, infatti, della cosiddetta «credenza» o «credenziera», un mobile a più gradi, ricoperto di panni preziosi (spesso i ricercati lini di Fiandra) e pieno di suppellettili d’oro e d’argento, quali bacili, piatti bicchieri, vasi e così via, che veniva approntato per i banchetti di corte non allo scopo di usarne gli oggetti per il servizio a tavola, ma unicamente come esibizione di lusso sfrontato: un elemento del decoro cerimoniale non a caso frequentemente segnalato e descritto nelle lettere degli ambasciatori.
Nonostante il contenuto religioso, lo spettacolo aveva, dunque, un carattere prevalentemente araldico-diplomatico che si mantenne costante durante tutto il tempo della sua esistenza, accentuandosi piuttosto nelle periodiche riprese e assimilando, nelle sue manifestazioni esteriori, le eleganze e le preziosità della cultura tardogotica che rievocava, nella mercantile Firenze, un immaginario principesco per lei inusuale. L’elemento predominante era quello ostentatorio esibito dal corteo dei re orientali sfilante per le vie cittadine, che relegava ad un ruolo subordinato l’azione scenica vera e propria: nessuno dei testi drammatici quattrocenteschi conosciuti si adatta, infatti, alle descrizioni di questa rappresentazione.
Proprio lo sfarzo che aveva sempre dominato l’immagine complessiva della celebrazione, e gli echi di una diplomazia regale ed esotica che trasparivano dall’ambasceria dei Magi ad Erode, contribuirono ad attirarla entro l’orbita di influenza dei Medici, fino a qualificarla in toto come una loro proiezione. Dal rientro a Firenze di Cosimo il Vecchio nel 1434, dopo la parentesi dell’esilio veneziano, la compagnia responsabile dello spettacolo divenne, infatti, un centro di incontro della consorteria medicea nel quale si aggregarono via via tutti i più potenti esponenti del clan familiare: nel 1447, anno a partire dal quale la cadenza della celebrazione divenne quinquennale e i finanziamenti del Comune si fecero più ingenti, Cosimo de’ Medici e il figlio Giovanni figurano tra i dieci «festaiuoli» preposti all’organizzazione della festa.
L’impulso derivato allo spettacolo dal coinvolgimento mediceo appare in tutta la sua evidenza nell’ultima edizione conosciuta. In una lunga descrizione in latino, il teologo domenicano fra’ Giovanni di Carlo si sofferma su un allestimento particolarmente sontuoso della rappresentazione, probabilmente voluto da Piero de’ Medici dopo un periodo di grave turbolenza politica. Travalicando la localizzazione circoscrizionale che ne aveva contraddistinto la forma originaria, la festa si estese a tutte le zone della città, trasformandola in una nuova Gerusalemme. La reggia di Erode fu innalzata nel ‘giardino’ adiacente il convento di San Marco, diventato ormai da tempo un simbolo del mecenatismo mediceo, e assunse le sembianze di un lussuoso palazzo principesco, ornato di arazzi e di addobbi vegetali e floreali, e animato da una quantità di servitori in abiti orientaleggianti che dovevano accogliere, con la dignità confacente alla raffinatezza del luogo e dell’occasione, le ambascerie dei Magi.
I «temptoria» (le tende) che indicavano gli accampamenti dei tre re furono, invece, dislocati negli altri tre quartieri, per costringere i rispettivi corteggi, affollati di carriaggi carichi di merci preziose, animali selvatici e frotte di donzelli in livrea, a sfoggiare la loro ricchezza, lungo tutte le vie e le piazze percorse, in una sorta di simbolica appropriazione del territorio urbano. Ciascun Mago aveva un copioso seguito, proveniente dalle fila dei giovani esponenti dell’oligarchia, che si presentavano travestiti ed atteggiati secondo i costumi dei loro padri e con i volti coperti da maschere modellate in modo da riprodurne le sembianze, ottenendo un significativo effetto di specularità tra ‘attori’ e spettatori: «Era bello – ricorda Fra’ Giovanni – che i veri cittadini, che erano confluiti presso l’edificio pubblico, si vedessero rappresentati in quelli che avanzavano con tanta pompa e magnificenza da far risaltare in maniera egregia la grandiosità regale e il grandissimo senato della città». Una festa di questo genere non poteva più dirsi appartenente solo alla compagnia che ne era responsabile, perché il suo allestimento richiedeva una tale mobilitazione di artefici da poter certamente impegnare una città intera per parecchio tempo.
Questa edizione della festa, precisa Fra’ Giovanni, fu organizzata, dopo un lungo periodo di sospensione, per sedare gli animi dei fiorentini in seguito alle incertezze politiche causate dalla congiura contro Piero de’ Medici del 1466 e la guerra contro Venezia del ’67, e fu affiancata, a breve distanza di tempo, da una sontuosissima giostra. Queste due indicazioni mi inducono a ritenere che lo spettacolo cavalleresco in questione fosse la giostra combattuta e vinta da Lorenzo de’ Medici nel gennaio del 1469, e che la festa dei Magi fosse dunque stata organizzata, come di consueto, il giorno dell’Epifania dello stesso anno. Alla luce di questa contestualizzazione, la specularità fra i membri della Signoria (latinamente definiti come «senato») e i loro figliuoli vestiti, atteggiati e mascherati come i padri assume un significato politico stringente: la classe dirigente medicea, risolta vittoriosamente la crisi che aveva dato origine alla congiura, e consolidata la posizione della città negli equilibri politici italiani con la vittoria sulla Serenissima, si riproponeva alla cittadinanza e agli oppositori non solo saldamente compatta nelle vesti regali dei Magi e con i comportamenti diplomatici e cerimoniali che quella dignità richiedeva, ma proclamava simbolicamente la propria stabilità mostrando la nuova generazione che ne avrebbe garantito, senza soluzioni o fratture, la continuità. D’altro canto anche la vittoria di Lorenzo in combattimento intendeva sancire la presenza pubblica del ventenne ‘erede’ mediceo ed affermarne la raggiunta maturità virile e politica.
All’immaginario principesco e cortese, alimentato in misura determinante dalla festa dei Magi, i Medici scelsero quindi di affidare la propria trasfigurazione vestendo panni regali in numerose opere figurative commissionate ai più affermati pittori fiorentini del Quattrocento: gli affreschi di Benozzo Gozzoli nella cappella di palazzo – destinati alla visione riservata di familiari ed ospiti illustri – e i dipinti su questo tema, opera dei maggiori artisti del periodo quali Sandro Botticelli, Filippo e Filippino Lippi, Domenico Ghirlandaio, o Cosimo Rosselli, conservano infatti una sorta di ‘galleria’ ritrattistica dei Medici e dei loro aderenti e familiari. Tali testimonianze non traducono certamente nel linguaggio figurativo il concreto svolgimento dello spettacolo, ma ne evocano la cifra cortigiana ed esotica, ne richiamano i sontuosi corteggi e restituiscono il gioco di specularità che si creava, nella festa, tra ‘attori’ e ‘pubblico’.
Proprio la suggestione degli affreschi del Gozzoli ha ispirato la ripresa della tradizione della cavalcata dei Magi ideata da Mons. Timothy Verdon e promossa dal Capitolo e dall’Opera di S. Maria del Fiore nel 1997, in occasione delle celebrazioni del VII centenario della fondazione della Cattedrale: ogni anno, il 6 gennaio, i re orientali, diretti ad adorare il Bambino nel Presepe costruito sulla piazza del Duomo, sfilano per le strade di Firenze in abiti quattrocenteschi, accompagnati da un folto ed elegante corteggio di dame, cavalieri, animali da caccia e da soma che sembra discendere direttamente dalle pareti di palazzo Medici.
Letture di approfondimento:
- R. Hatfield, The “Compagnia de’ Magi”, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXXIII (1970), pp. 107-161 (da cui la citazione, tradotta, di Fra’ Giovanni di Carlo, dal ms. Vat. Lat. 5878 della Biblioteca Apostolica Vaticana, c. 74r).
- Richard C. Trexler, The Magi Enter Florence. The Ubriachi of Florence and Venice, «Studies in Medieval and Renaissance History», n.s., I (1978), pp. 127-218.
- F. Cardini, La cavalcata d’Oriente. I Magi di Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici, Roma, Tomo, 1991.
- “Le tems revient”- “‘l tempo si rinuova”. Feste e spettacoli nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, a cura di P. Ventrone, catalogo della mostra (Firenze, 8 aprile -30 giugno 1992), Milano, Silvana, 1992.
- Pagolo di Matteo Petriboni, Matteo di Borgo Rinaldi, Priorista (1407-1459), with two Appendices (1282-1406), ed. by G. Battista, J.A. Gutwirth, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2001.
- D. Kent, Il committente e le arti: Cosimo de’ Medici e il Rinascimento fiorentino, Milano, Electa, 2005.
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è verificato il 1° gennaio 2013):
- Scheda sul convento di San Marco
- Scheda su Palazzo Medici
- Note biografiche su Cosimo de’ Medici il Vecchio
- Note biografiche su Giovanni di Cosimo de’ Medici
- Note biografiche su Piero de’ Medici
- Note biografiche su Lorenzo de’ Medici
- Scheda sulla Signoria
- Scheda sugli affreschi di Benozzo Gozzoli
- Note biografiche su Benozzo Gozzoli
- Note biografiche su Sandro Botticelli
- Note biografiche su Filippo Lippi
- Note biografiche su Filippino Lippi
- Note biografiche su Domenico Ghirlandaio
- Note biografiche su Cosimo Rosselli
- Note biografiche su Timothy Verdon
- Schede sulla Cavalcata dei Magi organizzata dall’Opera di S. Maria del Fiore 01 – 02
Come citare questo articolo: Paola Ventrone, Gennaio: la festa dei Magi, in "Portale Storia di Firenze", Gennaio 2017, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=gennaio-la-festa-dei-magi
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