Il beato Ippolito Galantini: il cristianesimo dei laici nella Firenze del Seicento

Immagine di copertina:

Ippolito Galantini



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di Maria Pia Paoli ( Scuola Normale Superiore)

 

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

Il 20 marzo 1620 (1619 secondo l’uso di datazione fiorentino ab incarnatione) moriva a Firenze Ippolito Galantini fondatore della Congregazione di San Francesco della dottrina cristiana con sede in via Palazzuolo, dove ancora oggi si trova al numero civico 17.

 

Ritratto di Ippolito Galantini. Fonte: http://www.internetculturale.it

La vicenda del Galantini è emblematica di un fervido humus spirituale che fu caratteristico dell’esperienza e della vita religiosa di Firenze fin dal periodo repubblicano. Tale esperienza coniugava afflati mistici e aneliti di apostolato attivo testimoniati dalla presenza di numerose confraternite cittadine. Galantini, nato il 14 ottobre 1565 dal tessitore di seta Filippo e da Maria Ginevra Zufoli, presto si trasferì con la famiglia dall’Oltrarno al quartiere di Santa Maria Novella nella parrocchia di Santa Lucia sul Prato. Anche questo quartiere era composto da artigiani, per lo più tessitori di seta, che durante le carestie del 1574 e 1578 furono duramente provati. Ciò non impedì che restasse molto viva la partecipazione alla vita religiosa intesa come parte integrante del vivere comune. In questo senso sia il padre che gli zii di Ippolito si impegnarono affinché fossero rispettati i diritti dei parrocchiani nell’amministrazione del culto nella chiesa di Santa Lucia. Cresciuto in questo clima, Ippolito, fin da fanciullo, secondo il suo biografo Dioniso Baldocci Nigetti, dimostrò una grande inclinazione religiosa manifestata con l’apprendimento delle prediche udite nella parrocchia, tanto che era in grado di spiegarle ai suoi coetanei. Il coinvolgimento dei fanciulli nelle pratiche devote aveva a Firenze un’antica tradizione che risaliva all’epoca dell’arcivescovo Antonino Pierozzi grazie al quale furono istituite alcune compagnie per l’insegnamento della dottrina cristiana. Tale tradizione fu in seguito ripresa e promossa dall’arcivescovo Alessandro de’ Medici futuro papa Leone XI che nel 1584 affidò al laico Jacopo Ansaldi il compito di portare avanti questo impegno nelle confraternite fiorentine. Prima di quella data un’opera incisiva di apostolato e insegnamento era stata assunta in città dalla Compagnia di Gesù che a metà Cinquecento si era insediata nel Collegio di San Giovannino al tempo dell’arcivescovo Antonio Altoviti e con il favore di Eleonora di Toledo moglie del duca Cosimo I Medici. Fu grazie ai padri della Compagnia che nei primi anni ’70 del Cinquecento lo stesso Ippolito ricevette i primi insegnamenti di catechesi frequentando in San Giovannino la scuola festiva della dottrina.

 

A causa di problemi di salute il Galantini non riuscì, tuttavia, a farsi accettare in nessun ordine religioso; la sua capacità di sermoneggiare e il suo innato carisma furono però riconosciuti dall’arcivescovo Medici, poi cardinale, tanto che nel 1599 fu chiamato a succedere all’Ansaldi come capo e governatore di tutte le compagnie della dottrina cristiana esistenti a Firenze.

In questo modo si perpetrava una peculiarità del cristianesimo fiorentino particolarmente incline al coinvolgimento diretto dei laici a differenza di quanto, ad esempio, avveniva a Milano o a Roma dove le scuole della dottrina cristiana erano affidate al clero secolare. La presenza e il ruolo del clero secolare nella diocesi fiorentina erano peraltro abbastanza carenti e minoritari rispetto al ruolo svolto dalle compagnie e confraternite oltre che dagli stessi ordini religiosi detentori di patronati e di benefici con cura d’anime in molte chiese e luoghi di culto cittadini. Soltanto nel 1712, al tempo dell’arcivescovo Tommaso Bonaventura della Gherardesca fu infatti istituito un seminario per la formazione del clero secolare, molto tardivamente, dunque, rispetto a quanto prescrivevano i decreti tridentini del 1564.

 

Frontespizio della Vita del Beato Ippolito Galantini. Fonte: http://www.internetculturale.it

Come ci viene testimoniato dalle fonti che riguardano il lungo iter per la canonizzazione del Galantini, fin da subito gli inquisitori del S. Offizio videro con sospetto il sermoneggiare di questo giovane laico che tanta capacità aveva di attrarre numeroso pubblico, nonostante fosse molto schietto nell’additare e riprendere peccati e peccatori senza riguardo per alcuni dei personaggi più in vista della città. Fu proprio per questo che all’inizio non riuscì ad avere una sede stabile per il suo apostolato che si alternava all’esercizio di severe pratiche ascetiche fatte di digiuni e mortificazioni corporali. L’insegnamento stesso della dottrina cristiana rivolto ai fanciulli apparve innovativo in quanto contemplava il gioco, il canto e la recita a memoria delle lezioni e orazioni, oltre che la frequenza del sacramento eucaristico, fondamento della catechesi tridentina. Non è un caso che anche a Firenze come ovunque nel periodo della Controriforma, fossero istituite molte confraternite del Santissimo Sacramento. Il ricorso alla comunione, almeno durante il periodo pasquale, preceduta dalla confessione dei peccati, era del resto oggetto delle varie missioni che la Compagnia di Gesù attuava nelle città e nelle campagne, mentre anche gli arcivescovi di Firenze in occasione delle loro visite pastorali compiute nella diocesi si mostrarono molto attenti a verificare il corretto adempimento del sacramento eucaristico e la buona conservazione delle ostie.

 

 

Fino al 1611 Ippolito si affidò alla direzione spirituale dei gesuiti, avvertendo molto forte anche l’influsso della spiritualità francescana devota all’umanità di Cristo sofferente sulla croce. Non a caso strinse legami di amicizia col predicatore francescano Bartolomeo Cambi da Salutio.

La conquista di una sede stabile in via Palazzuolo si realizzò dal 1602 quando il Galantini, con gli aiuti della famiglia Medici e in particolare con il favore dell’arcivescovo Alessandro de’ Medici, fece costruire un oratorio di grandi dimensioni su disegno di Matteo e Giovanni Nigetti. Dal punto di vista architettonico questo oratorio, il più grande di Firenze, ha la struttura tipica delle sedi confraternali concepite con unica navata ai cui lati sono collocati i banchi su cui sedevano i confratelli. Al centro della sala principale si trova un grande stemma mediceo di Pietro Liberi mentre intorno si trovano pitture realizzate fra il 1633 e il 1640 dopo la morte del Galantini: i quadri riportati di Giovanni Martinelli raffiguranti Ippolito che predica con lo sfondo della veduta di Porta al Prato e del luogo dove poi sorse l’oratorio, i Santi Ignazio, Domenico, Giuseppe e Bernardino da Siena. Tutti questi santi ben rappresentano l’iter formativo di Ippolito calibrato sull’esperienza di tradizione domenicana nel campo dell’insegnamento della dottrina cristiana, seguito da quello dei gesuiti; la presenza di san Bernardino richiama le doti oratorie del Galantini che all’antico modello del francescano senese si ispirava nella forza dei suoi sermoni diretti ad un vasto ed eterogeneo pubblico. La figura di san Giuseppe riporta l’attenzione sull’ambiente artigiano cui il nostro apparteneva. Altri dipinti sono opera di Domenico Pugliani (Morte del Beato Galantini, San Francesco in Gloria, Santa Lucia, Santa Caterina e la Maddalena), del Volterrano (San Giovanni Evangelista, San Giovanni Battista, San Filippo Neri), di Cecco Bravo e di Lorenzo Lippi. Dietro l’altare, infine, è situato un grande Crocifisso cinquecentesco, mentre nella cappella del beato si trovano numerosi ex voto.

 

 

 

Facciata dell' Arciconfraternita di San Francesco in Via Palazzuolo (detta anche Oratorio dei Vanchetoni”. Fonte: "Oratorio dei vanchetoni 11" di I, Sailko. Con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Oratorio_dei_vanchetoni_11.JPG#mediaviewer/File:Oratorio_dei_vanchetoni_11.JPG

L’oratorio sede della nuova Confraternita della dottrina cristiana era denominato più familiarmente come oratorio dei Vanchetoni dall’usanza dei confratelli di procedere in silenzio, cheti, o de Bacchettoni per via dell’abitudine di usare la disciplina in segno di mortificazione e penitenza. L’approvazione ufficiale avvenne il 20 aprile 1607. La novità di questa istituzione consisteva nella diversificazione dei ruoli ricoperti oltre che dal guardiano, il Galantini stesso, e dal correttore spirituale, un frate francescano di San Salvatore in Ognissanti, dai maestri di dottrina cui era dedicata una speciale scuola di noviziato per la formazione dei catechisti. Alla scuola aperta dal Galantini affluivano fanciulli, ragazzi e adulti; apposite classi erano destinate ai coniugati. La gradualità dell’insegnamento che rispettava età diverse e diversi stati, come appunto quella dei coniugati, risentiva molto dell’impianto formativo instaurato nelle scuole e nei collegi della Compagnia di Gesù, dove si perseguiva un iter di apprendistato suddiviso in classi.

 

 

Come base per l’insegnamento della dottrina cristiana Galantini adottò il catechismo di san Roberto Bellarmino, mentre lui stesso lasciò manoscritti degli Esercizi delle scuole di spirito della congregazione della dottrina cristiana di Firenze, editi postumi a Roma nel 1831. Ai fratelli della congregazione rivolse invece degli Avvertimenti spirituali stampati una prima volta nella Vita del Galantini edita dal Baldocci Nigetti nel 1623 e poi in un grande infolio stampato a Firenze nel 1655.

 

Particolarmente interessante è la composizione della biblioteca della congregazione nella quale sono raccolti i libri posseduti dal Galantini e quelli appartenenti a tutti i confratelli e ancora oggi conservati nella sede di via Palazzuolo. Il tipo di letteratura cara al fondatore era soprattutto di carattere ascetico/mistico e omiletico e vi facevano spicco gli autori spagnoli come il domenicano Luis de Granada.

Ben presto il modello di apostolato ideato dal Galantini si diffuse in altre città, a Volterra, a Prato, a Pistoia, a Perugia e soprattutto a Lucca e a Modena dove nacquero istituzioni analoghe a quella di via Palazzuolo.

 

Particolare del soffitto dell'Oratorio

A Firenze le relazioni e la fama del laico Ippolito si estendevano sia presso la corte medicea, in particolare presso la Granduchessa Cristina di Lorena e sua nuora Maria Maddalena d’Austria, sia presso famiglie nobili e ceti artigiani, al punto che ancora vivente, in virtù delle sue doti taumaturgiche, fu circondato da fama di santità. Tuttavia, dopo la sua morte, l’iter per la sua canonizzazione, iniziato subito dai confratelli, incontrò per secoli molti ostacoli anche a seguito delle accuse mossegli da alcuni laici e da alcuni religiosi, tra i quali Vincenzo Puccini confessore e biografo di santa Maria Maddalena de’ Pazzi.

 

Le imponenti fonti che riguardano i vari processi istruiti per la sua canonizzazione testimoniano per altri versi la popolarità raggiunta dal Galantini presso vari personaggi fiorentini e non, laici e religiosi, prelati, nobili, artigiani, uomini e donne. Fu alla fine beatificato il 31 maggio dell’anno giubilare 1825.

Dopo la morte del Galantini rimase in vita, almeno fino alla seconda guerra mondiale, la consuetudine della cena offerta l’ultima domenica di Carnevale a cento poverelli. Nel 1785 quando il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena soppresse molte compagnie e confraternite nella città e in tutto lo stato, risparmiò oltre all’ Arciconfraternita della Misericordia, la Congregazione fondata dal Galantini e divenuta Arcinconfraternita della dottrina cristiana per essere considerata capostipite di altre confraternite consimili nate fuori dal territorio fiorentino.

 

Letture di approfondimento:

 

  • Firenze, Archivio della Congregazione della dottrina cristiana (via Palazzuolo, 17, Firenze)
  • D. Baldocci Nigetti, Vita del beato Hippolito Galantini fiorentino, Roma 1623
  • G. Aranci, Formazione religiosa e santità laicale a Firenze tra Cinque e seicento. Ippolito Galantini.., Firenze 1997
  • M. P. Paoli, Galantini Ippolito, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 51, Roma, 1998, pp. 344-347
  • Ead., Tradizioni e metamorfosi della pietas nella Firenze medicea, in Il cristianesimo fiorentino. Tradizioni e peculiarità di una storia secolare, numero monografico di «Annali di storia di Firenze», VIII, 2013, a cura di Pietro Giovannoni, Maria Pia Paoli e Lorenzo Tanzini, pp. 171-194 (consultabile anche online all’indirizzo https://www.storiadifirenze.org/annali/tradizioni-e-metamorfosi-della-pietas-nella-firenze-medicea)
  • Ead., Spiritualità e devozione a Firenze tra Cinque e Seicento, in Puro, semplice, naturale, Catalogo della Mostra, Firenze, Galleria degli Uffizi, 17 giugno-2 novembre 2014, Firenze, Giunti 2014, pp. 108-124

 

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 28 febbraio 2015):


Come citare questo articolo: Maria Pia Paoli, Il beato Ippolito Galantini: il cristianesimo dei laici nella Firenze del Seicento, in "Portale Storia di Firenze", Marzo 2015, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=il-beato-ippolito-galantini-il-cristianesimo-dei-laici-nella-firenze-del-seicento
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