di Andrea Felici, Università per Stranieri di Siena
[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]
Nonostante la vecchiaia e la stanchezza, nel breve periodo di malattia che preludeva alla morte Michelangelo Buonarroti continuò a lavorare strenuamente alla sua ultima opera, la Pietà Rondanini, fino a due giorni prima di spirare. Posato per l’ultima volta lo scalpello e costretto al riposo forzato, esalò l’ultimo respiro la sera del 18 febbraio del 1564. Aveva 89 anni e abitava insieme al suo servitore, Francesco Armadori detto Urbino, nella modesta casa romana di Macel de’ Corvi, nella zona in cui oggi è situato il monumento nazionale a Vittorio Emanuele II. All’interno dell’abitazione alcune opere (tutte incompiute), una raccolta di scritti e disegni e, in ultimo, un forziere contenente un’enorme cifra in denaro, del tutto incongruente con lo stile di vita modesto che l’artista aveva condotto durante la sua esistenza.
Quella di Michelangelo era stata una carriera lunga e tortuosa, costellata di soddisfazioni e amarezze, viaggi e litigi, e con la costante di un lavoro incessante e faticoso, in più casi vanificato dall’abbandono delle commissioni intraprese. Allievo di Domenico Ghirlandaio e protetto di Lorenzo il Magnifico in giovane età, scultore e pittore a Roma per Giulio II nei primi anni del Cinquecento, architetto e scultore a San Lorenzo e negli ultimi progetti e lavori romani (da San Pietro al Campidoglio, da Palazzo Farnese a San Giovanni dei Fiorentini), console dell’Accademia e Compagnia dell’Arte del Disegno, Michelangelo era ricordato per il suo immenso talento artistico che gli aveva permesso di raggiungere risultati rivoluzionari in ogni campo in cui si fosse cimentato: dalla scultura – suo impiego d’origine – alla pittura, dall’architettura alla poesia. Oltre che per il genio e il dinamismo nel lavoro, era noto per il suo temperamento irruento e anti-accademico, che lo aveva portato in più casi a feroci contrasti con importanti personalità dell’epoca, alcune delle quali appartenenti alla sua stessa cerchia professionale (rimangono nella memoria i dissidi con Leonardo, Raffaello e Bramante). Di carattere acceso e pronto alla lite, si era più volte scontrato anche con i propri protettori, a cui aveva in varie occasioni voltato le spalle. Dedito al lavoro in solitudine, rappresentò la prima figura in grado di rompere gli schemi sociali e operativi che avevano fino ad allora distinto il rapporto tra committenza e manodopera artistica (di norma considerata alla stregua di quella artigianale): la sua concezione della pratica artistica si staccò, in diverse occasioni, dal tipico meccanismo della commissione, spingendolo a produrre opere in autonomia e con la certezza che queste avrebbero trovato un acquirente in seguito alla loro creazione. Particolarmente attento alla propria immagine e reputazione, sorvegliò personalmente la redazione della sua biografia ad opera di Ascanio Condivi, e spinse Vasari alla modifica di alcuni dati contenuti nella prima redazione delle Vite. I suoi capolavori, ineguagliabili per perfezione e complessità, posero le basi per una nuova concezione dell’arte fin dalla loro creazione: nella pittura (con il ciclo di affreschi della Sistina), nella scultura (con i capolavori del David, della Pietà vaticana, dei Prigioni per la mai realizzata tomba di Giulio II), nell’architettura (con gli allestimenti laurenziani, la progettazione della cupola di San Pietro e l’allestimento di Piazza del Campidoglio).
Quando avvenne la morte, lungamente attesa, Michelangelo era assistito dai propri medici e da due persone a lui particolarmente vicine negli ultimi anni: Tommaso de’ Cavalieri (giovane nobile romano da lui amato) e Daniele da Volterra (artista appartenente alla sua ultima e ristretta cerchia di amici).
La sua morte venne celebrata con estrema solennità a Firenze, dove la salma giunse superando notevoli difficoltà organizzative. Nei primi giorni di marzo, infatti, l’amato nipote Lionardo era giunto a Roma con il preciso compito di recuperare la salma del celebre parente e predisporne il trasporto in Toscana. Di tale impresa, descritta – probabilmente in modo alquanto romanzato – nella seconda edizione delle Vite di Vasari, erano all’oscuro le autorità romane, che in precedenza avevano espresso il desiderio di inumare il corpo dell’artista nella basilica di San Pietro.
Trafugata di notte e in gran segreto, la salma giunse nel capoluogo toscano l’11 marzo del 1564, e in seguito venne portata alla basilica di Santa Croce e ispezionata secondo un complesso cerimoniale stabilito da Vincenzo Borghini, luogotenente dell’Accademia delle Arti del Disegno. Il 12 marzo ebbe luogo un primo atto funebre; il 14 luglio quello ben più importante in San Lorenzo. Tale cerimonia di esequie, patrocinata dalla casata ducale e adatta più alla caratura sociale di un principe che di un artista, passò alla storia per la sua meticolosa organizzazione ad opera dell’Accademia, e il coinvolgimento di alcune delle più importanti personalità fiorentine dell’epoca. L’intera basilica venne addobbata riccamente di drappi neri e tavole dipinte con episodi della vita di Michelangelo. Il catafalco monumentale, posizionato al centro della basilica, venne ornato con apparati effimeri di pitture e sculture dalla complessa iconografia. L’orazione funebre venne composta e recitata da Benedetto Varchi, che esaltò le lodi, i meriti, la vita e l’opere del divino Michelangelo Buonarroti, in una minuziosa descrizione che venne pubblicata nello stesso anno presso Iacopo Giunti. L’inumazione avvenne a Santa Croce, nel monumentale sepolcro allestito da Giorgio Vasari affiancato dalle allegorie piangenti delle arti che il sommo artista aveva padroneggiato in vita.
Lontana dal rappresentare un episodio isolato e privo di seguito, tale cerimonia funebre contribuì certamente al suggello di uno status di massimo esempio e riferimento per il mondo dell’arte e della cultura nazionale e internazionale: la fama di Michelangelo, già consolidata in vita, come artista capace di raggiungere vertici creativi in qualunque campo, arrivò ad assumere le proporzioni di aura leggendaria, restando più che mai viva anche ai nostri giorni. Non è un caso che le celebrazioni michelangiolesche del XX secolo in occasione dell’anniversario della morte abbiano richiamato esplicitamente anche le stesse modalità con cui in passato l’artista era stato ricordato: «i componenti della nuova Accademia […] acclamavano il Buonarroti nella loro prima assemblea […] come primo accademico d’onore, quasi come alto patrono». In queste parole di Mario Salmi, pronunciate nel 1964 a Palazzo Vecchio durante la cerimonia di apertura delle celebrazioni del quarto centenario della fondazione dell’Accademia delle Arti del Disegno, si rievocavano in modo esplicito le onoranze che i membri dell’Accademia avevano riservato a Michelangelo, ancora vivo per pochi mesi, e che avrebbero ribadito con forza nell’organizzazione delle esequie del 14 luglio. La citazione di Salmi stringeva in modo esplicito un nodo che doveva congiungere le celebrazioni michelangiolesche del 1964 con quelle cinquecentesche, per glorificarne il genio e rafforzarne il legame con la sua città d’origine. Ambiziose e curate con rigore, le celebrazioni del quarto centenario della morte si distinsero per qualità e varietà tematica. Come era avvenuto nel Cinquecento, molto fu dedicato alla memoria del genio di Firenze tramite conferenze e orazioni pubbliche di autorità e specialisti. A queste si aggiunsero importanti eventi commemorativi organizzati da differenti membri delle istituzioni: basti ricordare la solenne cerimonia del 18 febbraio (giorno dell’anniversario della morte), in cui avvenne la deposizione di una corona d’alloro presso la tomba di Michelangelo a Santa Croce; la conferenza Michelangelo e la musica del suo tempo, tenuta da Mario Fabbri il 16 giugno, conclusasi con il concerto del complesso polifonico della Santissima Annunziata; l’apertura, il 14 luglio, delle due mostre di autografi michelangioleschi, organizzate presso Casa Buonarroti (I disegni di Michelangelo) e la Biblioteca Laurenziana (Documenti e manoscritti michelangioleschi).
Una fitta serie di eventi che non vennero concepiti come episodi isolati nel loro anno di organizzazione, ma come parte di un disegno celebrativo articolato in un lungo arco temporale: come i contemporanei di Michelangelo avevano tenuto a conservare la memoria del suo genio nella cerimonia del 1564, così si era voluto fare in occasione dell’anniversario novecentesco, percorrendo una sorta di ponte immaginario capace di collegare ininterrottamente l’artista al presente.
Bibliografia di riferimento
- B. Varchi, Esequie del divino Michelagnolo Buonarroti celebrate in Firenze dall’Accademia dei Pittori, Scultori e Architetti nella chiesa di S. Lorenzo il dì 14 luglio 1564, Firenze, Giunti, 1564
- R. Wittkower-M. Wittkower, The divine Michelangelo: the Florentine Academy’s homage on his death in 1564, Phaidon Publishers, distributed by New York Graphic Society, Greenwich (Londra), 1964
- Carlo Giulio Argan-Bruno Contardi (a cura di), Michelangelo architetto, Milano, Electa, 1990
- Michelangelo e il Novecento, catalogo della mostra di Casa Buonarroti a cura di E. Ferretti, M. Pierini, P. Ruschi (Firenze 18 maggio-20 settembre 2014), Milano, Silvana Editoriale, 2014
Elenco dei link
- Casa Buonarroti, Firenze
- AADFI | Accademia delle Arti del Disegno di Firenze
- Profilo di Michelangelo Buonarroti
- Profilo di Giorgio Vasari
- Profilo di Ascanio Condivi
Come citare questo articolo: Andrea Felici, Luglio 1564: solenni esequie a Michelangelo Buonarroti, in "Portale Storia di Firenze", Luglio 2014, https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=luglio-1564-solenni-esequie-a-michelangelo-buonarroti
Torna su