12 gennaio 1228: il papa accorda il trasferimento della sede episcopale da Fiesole a Firenze

di Enrico Faini (Udine)

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La chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze

All’apparenza si trattò di un duro colpo all’orgoglio fiorentino: la chiesa cittadina di Santa Maria in Campo (due passi dal duomo) diventava la nuova sede del vescovo di Fiesole e passava alla diocesi fiesolana. Chi non teme l’anacronismo potrebbe paragonare questo ‘isolotto’ all’odierno Vaticano. Il pontefice Gregorio IX chiudeva con questo atto una questione che si trascinava da più di cent’anni.

 

Nel 1125 i Fiorentini avevano stroncato l’autonomia politica della rocca fiesolana, ma la conquista restava incompiuta. Gli avanzi delle mura etrusche garantivano ancora al vescovo di Fiesole una certa indipendenza, modesta ma fastidiosa. I vescovi del Medioevo erano infatti al centro di una fitta trama di poteri sul territorio. Inoltre essi erano fino al pieno affermarsi dei comuni (tardo XII secolo), i massimi rappresentanti diplomatici della città. Con un vescovo insediato a Fiesole il dominio fiorentino era come una corona cui fosse saltata via la gemma più preziosa.

La diocesi fiesolana non poteva essere assorbita sic et simpliciter in quella fiorentina: la rete diocesana italica era tutto ciò che restava della venerata geografia amministrativa antica ed era, perciò, pressoché immodificabile. Questione diversa era quella del cambiamento della sede vescovile; gli esempi, nella stessa Toscana, non mancavano: dal vescovo di Roselle, passato nel 1138 nella più fortunata Grosseto, a quello di Arezzo, costretto nel 1130 ad abbandonare la sede extramuraria del Pionta per trasferirsi nel cuore della città. La stessa cattedrale di Fiesole aveva conosciuto, nel 1028, una simile traslazione: dall’indifendibile sito dell’attuale Badia Fiesolana, al ben più munito centro cittadino. Le diocesi, insomma, non si cancellavano quasi mai, ma i vescovi, col permesso del papa, si potevano spostare.

 

Nei primi anni Settanta del secolo XII il presule fiesolano, Rodolfo, sentendosi prigioniero sul colle, mise in atto un audace piano di evasione. Rodolfo aveva preparato, con l’avallo del pontefice Alessandro III, il trasferimento della cattedrale nel borgo fortificato di Figline. Dal punto di vista geopolitico Figline rappresentava una collocazione ideale: al centro della porzione più vasta (e ricca) della diocesi fiesolana e al confine con il territorio aretino, retrovia prezioso in un eventuale conflitto con Firenze. I lavori di costruzione per la nuova cattedrale dovevano essere già iniziati quando i Fiorentini, forti di una recente vittoria su Arezzo, si abbatterono su Figline, devastandone edifici e territorio.

 

L’ordine fu ristabilito, ma il tentativo di Rodolfo costituiva un pericoloso precedente. Nel 1203 i Fiorentini tentarono di imporre al presule il trasferimento nel monastero urbano di San Pier Maggiore. La veemente reazione del papa, Innocenzo III, convinse Firenze a fare un passo indietro. Intanto, però, il pontefice aveva incaricato una commissione ecclesiastica di ricercare per il vescovo una sistemazione più consona. Firenze era tra l’incudine e il martello: il vescovo – nel suo rifugio fiesolano – non era ancora del tutto ‘in gabbia’, ma – a stringere troppo il pugno – c’era il rischio che l’uccellino tentasse nuovamente la fuga.

 

La diocesi di Fiesole (in rosso) nel contesto delle diocesi toscane

Nei primi decenni del Duecento, impegnati in un conflitto più o meno costante con Siena, i Fiorentini temevano molto la seconda eventualità: il confine meridionale del loro contado – il confine con Siena, per l’appunto – era quasi tutto in diocesi di Fiesole; le conseguenze di un trasferimento del vescovo in questa zona sarebbero state militarmente disastrose.

 

Fu scatenata, dunque, un’offensiva ideologica con lo scopo di legare la cattedra fiesolana al colle sopra Firenze. Ne conserviamo traccia in un’opera – la Chronica de origine civitatis Florentiae – recentemente datata ai primi decenni del Duecento dal suo editore, Riccardo Chellini. Il testo oscilla tra le lodi sperticate per il sito di Fiesole e la condanna morale per i suoi abitatori, anticamente sostenitori di Catilina. La finalità era evidente: convincere il vescovo a restare sulla sua bella acropoli, contento di un ruolo politico modesto, risultato di responsabilità storiche gravi. L’autore del testo è rimasto anonimo, ma Chellini lo attribuisce al vescovo di Firenze, Giovanni da Velletri. Una vera pugnalata alla schiena per il presule fiesolano: non solo perché proveniva da un ‘confratello nell’episcopato’, ma soprattutto perché proprio Giovanni – subito prima di diventare vescovo – era stato incaricato dal papa di minacciare la scomunica ai Fiorentini per il maldestro tentativo del 1203.

Più efficace, nell’ottica di soffocare ogni velleità di indipendenza, si rivelò l’accerchiamento economico. Il vescovo Ranieri si era visto costretto a cedere parti di patrimonio della sua Chiesa ai creditori (naturalmente Fiorentini). L’occasione era troppo ghiotta perché la città sull’Arno se la lasciasse sfuggire: al presule non fu concesso respiro. Nonostante l’interessamento del papa Onorio III - che sospese Ranieri dall’amministrazione dei beni diocesani e intimò ai Fiorentini di restituire parti del patrimonio – l’assedio non si allentò. Il successore di Ranieri, Ildebrando, non poté neppure entrare in possesso della propria cattedrale e fu ospitato dai monaci di Vallombrosa. In queste condizioni l’abbandono della sede aveva il sapore dell’esilio e non della fuga verso la libertà, come ai tempi di Rodolfo. La strada delle scomuniche a oltranza non era più percorribile: Onorio III stava cercando di organizzare una crociata in Terrasanta e forse non era il caso di irritare i possibili finanziatori dell’impresa. Finché fu vivo, però, Onorio non cedette alla prepotenza fiorentina. Il successore – lo scaltro Gregorio IX, già campione della diplomazia pontificia nei Comuni del Nord – ‘obbligò’ la città del Fiore ad ospitare il vescovo fiesolano. Un capolavoro diplomatico: i Fiorentini ottenevano ora – all’apparenza come punizione per la loro avidità – ciò che non avevano mai ottenuto come premio per il loro valore guerriero.

 

Lettura di approfondimento:

  • Chronica de origine civitatis Florentiae, a cura di R. Chellini, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2009

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 12 gennaio 2013):