di Samuela Marconcini (Scuola Normale Superiore di Pisa)
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Il 20 dicembre 1680 il granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici emanava un editto mirante ad impedire il «commercio carnale» tra cristiani ed ebrei, richiamandosi espressamente a due bandi precedenti: quello del primo luglio 1677, che proibiva agli ebrei di ricorrere a balie o a servitori cristiani, e quello del 26 giugno 1679, che si proponeva di impedire i rapporti sessuali tra gli appartenenti alle due religioni.
Il bando del 1680 era diretto ad evitare qualsiasi contatto tra ebrei e cristiani attraverso la netta separazione delle rispettive abitazioni: niente porte in comune, né finestre, o tetti, terrazzi o pozzi che potessero in qualche modo facilitare incontri e amichevoli conversazioni. Si voleva in questo modo porre termine ad una quotidiana, reciproca dimestichezza che, nonostante i ripetuti divieti, si era venuta affermando nel tempo: questo stato di cose era definito nel bando come un «abuso», che fino a quel momento era stato tollerato «da’ iusdicenti», soprattutto a Pisa, dove «alcune famiglie Cristiane & Ebree» avevano «avuto ardire di coabitare nella medesima casa».
Che questo pacifico stato di convivenza interreligiosa si realizzasse con maggior facilità nella città di Pisa non è cosa che debba stupire. A Pisa, ma anche e soprattutto a Livorno, vivevano ebrei di origine iberica che, costretti a convertirsi al cristianesimo, avevano trovato nella Toscana medicea un’oasi di protezione dall’Inquisizione, potendo tornare alla religione originaria senza il timore di essere processati per eresia, grazie ai privilegi concessi loro dal granduca Ferdinando I de’ Medici in due riprese, nel 1591 e nel 1593 (le cosiddette “Livornine”).
Se in questo angolo di costa toscana il potere granducale aveva concesso ampie libertà ai “marrani” (termine spregiativo con cui si indicavano appunto gli ebrei convertiti forzatamente al cristianesimo), sfruttando le loro ben note capacità imprenditoriali e le loro ampie reti commerciali per fare di Pisa (nei progetti originari) e Livorno (poi, soprattutto) uno dei principali centri di scambio del traffico mediterraneo ed atlantico, nell’entroterra le cose andavano ben diversamente. Cosimo I era stato il primo dei regnanti italiani ad ottemperare al dettato della bolla Cum nimis absurdum del 1555, rinchiudendo tutti gli ebrei toscani nei ghetti di Firenze (1570) e Siena (1571). I due diversi tipi di trattamento riservato agli ebrei nella Toscana medicea sono il frutto di una spregiudicata strategia politica, che aveva sacrificato senza troppi rimorsi gli ebrei italiani (dediti al prestito ad interesse e al commercio minuto, e quindi simbolo di un’economia perdente) ai voleri di papa Paolo IV Carafa.
Questo sistema era ormai ben consolidato quando Cosimo III, penultimo dei Medici, salì al trono nel 1670. Troppo sbrigativamente liquidato come sovrano “bigotto”, l’operato e la figura di Cosimo III sono stati recentemente rivalutati alla luce di più attente indagini. È però vero che durante il suo lungo regno (1670-1721) si ebbe un peggioramento delle condizioni degli ebrei in Toscana, non foss’altro per una sua spiccata attività di favoreggiamento delle conversioni al cristianesimo, tramite concessioni di beni materiali ai neofiti da un lato, una certa condiscendenza nei confronti di abusi ecclesiastici (come la sottrazione agli ebrei di figli battezzati con l’inganno) dall’altro.
Stando all’interpretazione di un contemporaneo, l’erudito fiorentino Ferdinando Leopoldo del Migliore, il granduca Cosimo III, nell’emanare un bando mirante ad impedire le relazioni sessuali tra ebrei e cristiani, avrebbe avuto in mente di punire il cristiano che si macchiasse di un tal crimine, più che l’ebreo: solo dall’unione con un’ebrea infatti poteva nascere un figlio ebreo, e non viceversa (essendo effettivamente matrilineare la trasmissione dell’appartenenza ebraica). Questa interpretazione (assolutamente forzata) del testo della legge è tanto più interessante quanto più rivela un reale modo di pensare dell’epoca: la presenza ebraica era sì tollerata, ma solo fintantoché fosse rimasta contenuta. Del resto, l’utilizzo del segno di riconoscimento per gli ebrei (che a Firenze consisteva in un berretto giallo per i maschi, e una manica del vestito dello stesso colore per le femmine) aveva lo scopo dichiarato – fin dalle decisioni prese da papa Innocenzo III al IV Concilio Lateranense (1215) – di evitare la possibilità di rapporti sessuali tra persone di diversa fede.
La Toscana di Cosimo III rappresenta dunque una fase in cui, nella lunga storia dell’antigiudaismo di matrice cattolica, quest’ultimo trovò condizioni particolarmente favorevoli per prosperare.
Letture di approfondimento:
- U. Cassuto, Gli Ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze, Galletti e Cocci, 1918
- Ebraismo e antiebraismo: immagine e pregiudizio, presentazione di C. Luporini, Firenze, Giuntina, 1989
- R. Toaff, La nazione ebrea a Livorno e a Pisa (1591-1700), Firenze, Olschki, 1990
- La Toscana nell’età di Cosimo III, a cura di F. Angiolini, V. Becagli e M. Verga, Firenze, Edifir, 1993
- S. Siegmund, The Medici State and the Ghetto of Florence: the Construction of an Early Modern Jewish Community, Stanford, Stanford University Press, 2005
- M. Luzzati, Ebrei ed ebraismo a Pisa. Un millennio di ininterrotta presenza, Pisa, ETS, 2005
- L. Frattarelli Fischer, Vivere fuori dal ghetto, Torino, Zamorani, 2009
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 20 dicembre 2012):