di Enrico Sartoni (Accademia delle Arti del Disegno)
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Il famoso Almanach de Gotha che segnalava le memorabilia dell’alta nobiltà europea alla data del 23 aprile 1846 segnalava: «L’impératrice de Russie qui retourne dans ses états est arrivée à Florence». Nonostante Firenze fosse meta frequentata da ogni tipo di nobile o borghese in cerca di ricreazione in una delle tappe fondamentali del cosiddetto Grand Tour italiano, la visita della famiglia imperiale russa rimase un evento unico per il piccolo stato italiano. A venti anni dall’incoronazione ad imperatrice infatti, la zarina Aleksandra aveva intrapreso un lungo viaggio attraverso l’Europa giungendo in Toscana, dopo la tappa siciliana e partenopea, su di un vascello attraccato a Livorno il 22 aprile. Aveva quindi optato per il mezzo più comodo e alla moda del tempo: il treno. Lungo la neonata linea leopolda, dopo una tappa pisana per vedere il camposanto monumentale, l’imperatrice era giunta a Pontedera dove terminava il tratto fino ad allora praticabile della costruenda ferrovia. Aleksandra era quindi giunta in carrozza Firenze e, entrata in città attraverso porta San Frediano, aveva preso alloggio in Borgo Ognissanti alla famosa Locanda d’Italia gestita da Ranieri Baldi, «one of the oldest – come si era scritto – and best conducted in Italy». L’albergo era al numero 2258 di Borgo Ognissanti ed era l’usuale alloggio dei regnanti in visita nella capitale granducale e fu luogo prediletto dai russi per la contiguità con il palazzo Martellini sede dell’ambasciata dello zar a Firenze. L’imperatrice trovò confortevole rifugio in una lussuosa suite dell’albergo dove, onde evitare la fatica delle scale, veniva ogni volta introdotta o fatta uscite su di una comoda portantina.
Aleksandra non era, ovviamente, giunta da sola, oltre alla famosa figlia Olga, il grande seguito comprendeva l’ambasciatore russo in Prussia, le dame di corte, il gran ciamberlano Suvalov, l’aiutante generale dell’imperatore conte Apraksin e anche la sorella dell’impetratrice, granduchessa vedova del Mecklenbourg Schwerin, che viaggiava sotto il nome segreto di contessa de Cheverin. Gli alberghi e le locande della città si erano riempite di donne e uomini vestiti nelle più varie fogge per la gioia dei curiosi e delle tasche dei commercianti.
La visita si prolungò per oltre una settimana. L’imperatrice ed il suo seguito non mancarono di visitare ogni meraviglia cittadina, primo tra tutti, e di tutti il più ricorrente, il parco delle cascine che il biografo dell’imperatrice descrisse come «the gayest randevous in Italy». Insieme ai giardini anche i rilassanti paesaggi fiorentini avevano attratto la curiosità imperiale. Il 26 aprile Aleksandra si era recata alla villa della Petraia e a quella di Castello, il 28 alla villa di Bello Sguardo, il 30 alla residenza di Poggio a Caiano dove aveva visitato tutto il giardino e il parco di Buonistallo ed infine il primo maggio il giardino di Boboli in carrozza insieme al Granduca. L’altra grande protagonista delle visite fu, altrettanto ovviamente, l’arte. I capolavori del grande rinascimento che avevano formato la cultura accademica russa e di cui la corte imperiale amava circondarsi nelle proprie residenze era espressa a Firenze non solo con i massimi capolavori, ma anche in un gran numero di opere d’arte. Così il 27 aprile, insieme alla famiglia granducale toscana, la zarina aveva visitato i dieci capolavori più significativi della galleria Palatina, il giorno seguente la galleria degli Uffizi dove, narra il biografo, era rimasta affascinata dalla cosiddetta Venere dei Medici, una cui copia era posseduta dalla famiglia imperiale. In un clima così propizio puntuali erano partite dalla famiglia imperiale le ordinazioni di opere alla moda create dai grandi artisti fiorentini nei loro studi. Si era così visitato lo studio della famosa scultrice Felicie de Fauveau e ancora gli immancabili studi degli scultori Lorenzo Bartolini e Giovanni Duprè, senza trascurare l’altissimo artigianato fiorentino la cui fama è testimoniata, durante il soggiorno fiorentino, da una visita imperiale al laboratorio artigiano dei fratelli Bianchini, famosa bottega di mosaici in pietra dura in via de’ Nelli.
Le giornate della regnante e della sua corte furono quindi impiegate tra gite di piacere, riposo ed etichetta, sebbene, come annotò lo stesso biografo imperiale, la zarina fosse molto colpita dalla compagnia del granduca toscano che, di origine germanica, era molto meno impegnato nelle cerimonie che i sovrani borbonici.
Anche l’aspetto religioso non venne trascurato durante il soggiorno. L’unico luogo fiorentino dotato di una cappella di rito ortodosso di adeguate dimensioni e maestosità era, infatti, la cappella della villa posta nel popolo di San Donato fuori porta al Prato proprietà della famiglia Demidoff che l’aveva eretta tra il 1828 ed il 1831. Qui l’imperatrice si recò più volte per assistere alle cerimonie religiose e per fare salotto nel grande salone della villa.
Tra il 3 ed il 5 maggio la corte iniziò a riprendere il viaggio verso la capitale russa, non prima però di aver assistito ad una grande festa sull’Arno con musica e candele organizzata dal granduca e coordinata dall’architetto Giuseppe Martelli.
L’imperatrice fu l’ultima ad accomiatarsi. Dopo aver ricevuto gli onori della famiglia granducale, la zarina, la figlia, ed il principe ereditario di Württemberg, assisi in una carrozza da viaggio, partirono da Firenze seguiti da altri sei legni alle ore undici e tre quarti.
Era solo impressione quella che la sovrana Aleksandra si prestava a lasciare di sé, sia nel passeggio alle Cascine, sia nei mondani ricevimenti, così come nei ricchi donativi, i quali, in un crescendo di preziosità, ella elargì al giardiniere, agli ufficiali, alle cariche di corte e infine agli stessi granduchi toscani, facendoli partecipi di prestigiosi riconoscimenti che li rendevano beneficiari, e quindi debitori, della sua augusta persona e del grande paese che lei governava. La politica dell’immagine doveva impressionare e dissuadere. I sorrisi, gli sguardi, la munificenza, erano un modo per accreditare un’idea della famiglia regnante diversa da quella diffusa presso l’opinione pubblica più liberale, la quale collegava alla dinastia dei Romanov le prigioni del Caucaso e della Siberia, nonché la repressione della rivolta polacca. Per altro verso, dal punto di vista dei regnanti toscani, gli esiti della visita non risultarono meno positivi. Furono proprio i granduchi, probabilmente, ad ottenere il maggior successo dalla presenza della zarina. La Toscana si accreditava ancora una volta come felice custode di tesori il cui valore appariva imprescindibile anche per i più potenti sovrani della terra. In rapporto a Firenze la visita dell’imperatrice fu, più che in altre analoghe circostanze, occasione di una rinnovata sociabilità. La percezione dei contemporanei fu quella di una rottura della routine; e non sfuggì loro il saldo positivo che la presenza dell’illustre capo di stato apportò all’economia della città. Proprio la Gazzetta di Firenze sottolineò a tal proposito come il passaggio della zarina «abbia impresso alla Città un nuovo movimento, e senza far conto della maggior affluenza di forestieri distinti».
Bibliografia di riferimento
- Almanach de Gotha pour l’année 1847, Gotha, Perthes 1847, p. 657
- Th. von Grimm, Alexandra Feodorowna Empress of Russia, Edinburgh, Edmonston and Douglas, 1870 (1 ed. tedesca 1866), II, pp. 206-247
- E. Sartoni, L’imperatrice e le spie. Il viaggio a Firenze della zarina Aleksandra Fëdorovna (1846) nelle carte degli archivi del Buon Governo, “Antologia Vieusseux”, 48 (2010), pp. 27-70
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 20 aprile 2015)
- Grand Tour
- Parco delle Cascine
- Villa la Petraia
- Villa di Castello
- Villa di Bello Sguardo
- Villa di Poggio a Caiano
- Profilo e opera di Felicie de Faveau
- Profilo e opera complete di Lorenzo Bartolini
- Profilo di Giovanni Duprè
- Profilo di Giuseppe Martelli