Aprile 1929: Alessandro Pavolini federale di Firenze

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di Matteo Mazzoni (Università di Firenze)

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Alessandro Pavolini, nato il 27 settembre 1903, deve ancora compiere 26 anni quando assume la guida del Partito nazionale fascista (Pnf) fiorentino il 10 aprile 1929. Appartiene ad una famiglia dell’alta borghesia cittadina; il padre, Paolo Emilio, è infatti docente di sanscrito e civiltà dell’India antica all’Istituto superiore di studi Cesare Alfieri (divenuto Università nel 1924), filologo di fama internazionale. Alessandro cresce quindi in un ambiente socialmente e culturalmente sensibile alle istanze patriottiche e nazionaliste di inizio Novecento, al culto della guerra e dell’eroismo del combattente; come molti della generazione dei primi anni del secolo, si esalta per la prima guerra mondiale, del cui mito si appassiona, non dovendone sperimentare la drammatica realtà delle trincee e delle pietraie del Carso. Fin dagli anni del Liceo – frequenta il “classico” Michelangelo – dimostra le sue qualità, eccellendo in ogni materia. Negli anni successivi si iscrive all’Università a Roma, a Legge, mentre nella città natale frequenta l’Istituto Cesare Alfieri per le Scienze sociali (laureandosi nel 1924), e gli ambienti mondani dei salotti fiorentini, dove incrocia altri giovani brillanti ed intelligenti che faranno scelte opposte negli anni successivi: da Carlo e Nello Rosselli a Alberto Carocci spicca per le sue qualità, e sviluppa una grande passione per il teatro e la letteratura.

Contemporaneamente vive l’atmosfera dello squadrismo in una città segnata, negli anni del primo dopoguerra, dai violenti scontri fra fascisti e aderenti ai partiti operai, socialisti e comunisti, identificandosi profondamente con il nuovo movimento politico cui aderisce con intransigenza e passione, iscrivendovisi, diciassettenne, il primo ottobre 1920. Milita nelle squadre più temute. Proprio la ferocia e la spietatezza contro gli avversari, tipici dello squadrismo, contraddistingueranno Pavolini lungo tutta la parabola della sua esistenza, esprimendo un tratto essenziale della sua personalità. Trovandosi nella capitale per sostenere degli esami nei giorni della Marcia su Roma, sa cogliere l’occasione, rivendicando il merito di una partecipazione più casuale che volontaria, ma fondamentale per garantirsi una brillante carriera. Pienamente partecipe del clima di violenza che lo squadrismo effonde in città, si distingue, da studente universitario, nelle contestazioni a Gaetano Salvemini docente dell’ateneo fiorentino e noto esponente dell’antifascismo, rimanendo ben impresso nella memoria di Piero Calamandrei per i suoi occhi da serpente, ispiratori di odio e sangue, affascinanti e terribili al tempo stesso. In questi anni, collabora anche con diversi periodici: «Rivoluzione fascista», «Battaglie fasciste», «Critica fascista». Del resto fin da piccolo aveva dato prova di interesse per la scrittura, mostrando anche particolari capacità, stampandosi per gioco a 8 anni, nel 1911 in occasione della guerra di Libia un piccolo giornale nazionalista e quindi a 12 anni un “foglio” interventista a sostegno del conflitto mondiale contro gli Imperi centrali di Austria-Ungheria e Germania. Successivamente, divenuto federale, dedica un’attenzione speciale alla stampa quale strumento di propaganda e formazione dei fiorentini, fondando e dirigendo un nuovo periodico della federazione «Il Bargello», il cui primo numero esce nel giugno del ’29.

Nel contesto di consolidamento del regime successivo alla crisi Matteotti, il vecchio squadrismo, fondamentale per stroncare nella violenza oppositori ed avversari, non è più necessario nel contesto di un fascismo che è diventato Stato e che quindi può usare lo strumento della legge, riscritta a suo piacimento, per controllare e dominare la società. I “vecchi” squadristi ribelli e brutali possono ora solo creare fastidio e discredito. Per chi sa adattarsi e indossare la giacca sopra la camicia nera si possono aprire porte importanti, per chi non intende cambiare, sognando la rivoluzione, ancorché fascista, le ante restano invece sbarrate. Ma Pavolini appartiene alla prima categoria. Così, Alessandro inizia la sua carriera e nel ’27 diventa il vice del marchese Luigi Ridolfi, federale del Pnf fiorentino. Quindi nel ’29, anno anche del suo matrimonio con Teresa Franzi, mentre il marchese è eletto deputato in occasione del primo plebiscito, Pavolini gli succede alla guida del partito.

Forte delle proprie qualità e spinto dalla propria ambizione, Pavolini sa proporsi e apparire come l’uomo adatto a riportare ad unità il litigioso fascio fiorentino. A seguito della riapertura della iscrizioni del Pnf decisa a livello nazionale dalla segreteria di Achille Starace, sotto la sua direzione la federazione diventa un grande soggetto di massa, strumento fedele ed efficace del regime. Alla fine del 1933 la federazione provinciale conta circa 44.700 tessere, rispetto alle 31.200 del marzo del ’29, di cui 17.562 in città. Alla crescita quantitativa corrisponde quella organizzativa: mentre in provincia sono fondate numerose Case del fascio, in città sono istituiti i gruppi rionali, veri presidi territoriali utili a mantenere il pieno controllo dei quartieri fiorentini, ma anche a “conquistare” la popolazione, promuovendo ed organizzando tornei sportivi ed attività ricreative, corsi formativi e gite, surrogando così con le feste e le iniziative assistenziali della sciabilità fascista la perdita di ogni diritto e libertà.

Contemporaneamente Pavolini sa muoversi con discrezione e attenzione nelle designazione degli incarichi all’interno della Federazione, affidandosi in particolare agli ambienti del ceto industriale e dei professionisti, degli aristocratici, ma senza dimenticare squadristi della prima ora perfettamente inseritisi nel nuovo contesto. Al suo fianco si muovono – solo per fare alcuni esempi – il marchese Roberto Pucci e lo squadrista Ludovico Moroni, uno dei più feroci e noti, anche per fatti criminali dai quali risulta sempre assolto dai Tribunali del Regno, Zenone Benini appartenente alla famiglia proprietaria della Fonderia Pignone, l’avv. Giulio Ginnasi segretario del gruppo degli studenti universitari fascisti (GUF) dal 1930, che gli succederà nel 1934 alla guida della Federazione quando Pavolini viene eletto deputato in occasione del secondo plebiscito.

Ma Pavolini è anche abile nel ridisegnare il volto stesso di Firenze. Rilancia il primato culturale della città in nome di miti e tradizioni consolidate, rivendicando una piena corrispondenza fra fiorentinità e spirito fascista, e ne delinea la prospettiva di sviluppo sulla triade: artigianato, cultura e turismo e sulla potenzialità del loro reciproco intreccio. All’interno dell’attenzione rivolta dal governo nazionale al settore del turismo, puntando sulle risorse della città natale, nel 1932 diventa primo presidente dell’Azienda autonoma di turismo di Firenze. Per valorizzare la città e le singole iniziative che già vi si svolgono, promuove le “Primavere fiorentine”, densi programmi di manifestazioni artistico-culturali: dai concerti di musica classica del Politeama (poi Teatro Comunale nel ’34) a quelli della Società degli Amici della Musica, all’Esposizione regionale di arte toscana, dalla Mostra canina al Concorso ippico internazionale alle Cascine. Ma ne sostiene e favorisce anche di nuove, che dai primi anni Trenta sono giunte fino ai nostri giorni: nel 1931 la Mostra del Giardino italiano (oggi Mostra dei fiori) e la prima Fiera nazionale dell’artigianato al palazzo delle Esposizioni del Parterre, strumento di sostegno di un settore importante del mondo del lavoro fiorentino e ed allo stesso tempo consolidamento e promozione dell’identità artigiana della città. In quegli stessi anni i fiorentini assistono alla re-invenzione dell’antico gioco del calcio storico fiorentino e, nel 1933, all’inaugurazione del Maggio musicale, nato come manifestazione biennale, ma concepito come evento di altissimo livello, tale da richiamare sulla città una risonanza mondiale.

Quindi, all’interno della ricca stagione di lavori ed opere pubbliche che il governo fascista decreta per la città (dal Ponte della Vittoria nel ’32, al nuovo Politeama, poi Teatro comunale nel ’34, dal completamento dei lavori della Biblioteca nazionale all’Accademia aeronautica alla Cascine nel 37) il federale promuove le nuove forme di architettura contemporanea che il regime finanzia ed inaugura nella Firenze dei primi anni Trenta: dalla stazione ferroviaria di Michelucci, inaugurata nel ’35, allo stadio di calcio progettato da Pier Luigi Nervi, inaugurato nel ’32.

L’incarico di federale rappresenta per Pavolini il trampolino verso Roma. Legatosi al potente clan di Galeazzo Ciano, genero ed accreditato delfino del Duce, inizia una brillante carriera: deputato dal 1934, è quindi consigliere nazionale dal 1939 al ’43 (a seguito della trasformazione della Camera dei deputati in Camera dei fasci e delle corporazioni), membro del Gran Consiglio (1939-’43), Ministro della Cultura popolare (1939-’43), per assumere poi un ruolo centrale nella parabola finale del fascismo: dopo l’8 settembre del 1943 – armistizio del Regno d’Italia con gli angloamericani -, sarà infatti il segretario nazionale del partito fascista repubblicano ricostituito per sostenere l’ultima avventura di Mussolini, la Repubblica sociale italiana, diventandone di fatto il n. 2, e l’occupazione nazista della penisola.

Peserà su di lui la responsabilità di aver aggravato gli aspetti della guerra -divenuta già civile fra italiani- con la decisione, nel giugno del 1944, di trasformare il partito in un corpo militare, diviso in squadre armate, le brigate nere e la scelta di costituire gruppi speciali di combattenti, incaricati di proseguire la guerra anche a resa avvenuta, come le squadre dei “franchi tiratori”, i cecchini che insanguineranno Firenze nei giorni della Liberazione della città nell’agosto del ‘44. La parabola nera del fascismo che lo aveva portato dalla Firenze degli anni Venti ai palazzi del potere romano si concluderà – fucilato dai partigiani il 28 aprile 1945 a Dongo – in una macchia rosso sangue. Quello di Pavolini Alessandro, il federale di Firenze.

 

Letture di approfondimento:

  • M. Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, Olschki, 1978.
  • A. Petacco, Il superfascista: vita e morte di Alessandro Pavolini, Milano, Mondadori, 1999.
  • D. Gagliani, Brigate nere, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.
  • M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista,Milano, Mondadori, 2003 .
  • M. Bucci-G. Vitali (a cura di), 1933-2003 Le ragioni di un Festival. Nascita e ambiente culturale del Maggio Musicale Fiorentino, «Antologia Vieusseux», X (2004), n. 28.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è verificato il 1° aprile 2012)