Marzo 1958: la ricostruzione del ponte a Santa Trinita

Immagine di copertina:

di Gianluca Belli (Università di Firenze)

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Il ponte dopo l’apertura al traffico e il ricollocamento delle statue, 1958 (archivio Gizdulich, Firenze)

Il 16 marzo 1958 viene ufficialmente inaugurato il ponte a Santa Trinita, ricostruito “dov’era e com’era” dopo essere stato minato e distrutto nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944 dalle truppe tedesche in ritirata da Firenze. I lavori si svolgono nell’arco di circa due anni e mezzo, mentre a Bartolomeo Ammannati erano occorsi quasi quattro anni per costruire il ponte originario, tra il 1567 e il 1571. Sono necessari però undici anni di studi, progetti, discussioni e polemiche per poter dare avvio al cantiere.

 

La necessità di ricostruire il ponte nelle sue forme originarie è sostenuta in modo quasi unanime fin da subito. Mentre gli Alleati utilizzano i ruderi delle pile per sostenere i tralicci di un ponte Bailey, già alla fine di agosto del 1944 il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale incarica Riccardo Gizdulich di dirigere le operazioni di recupero dei frammenti del ponte, un’attività che impegna tecnici e volontari per più di un anno. Architetto in forza alla Soprintendenza ai Monumenti, Gizdulich inizia anche a lavorare a un progetto per la ricostruzione, in vista del quale iniziano subito rilievi, indagini, campagne fotografiche. Negli stessi mesi, l’amministrazione comunale affida l’incarico di studiare la ricostruzione del ponte a Emilio Brizzi, un ingegnere all’epoca assistente alla Facoltà di Architettura.

 

 

I resti di una delle pile del ponte a Santa Trinita con i conci superstiti numerati prima dello smontaggio (archivio Gizdulich, Firenze)

Lo scoordinamento delle iniziative, la mancanza di dati attendibili sul ponte distrutto e l’insufficiente riflessione sulle tecniche originarie rendono le prime proposte insoddisfacenti. Risulta difficile mettere a punto soluzioni costruttive che permettano di replicare la forma tesa e scattante delle arcate, e non si tiene in conto l’opportunità di far corrispondere alla replica fedele dell’aspetto esteriore l’esatta ricostituzione della struttura interna. Il primo progetto, elaborato da Gizdulich e dall’ingegner Piero Melucci tra il 1947 e il 1949, prevede infatti un ponte in muratura esternamente identico all’originale ma alleggerito all’interno dalla presenza di numerose cavità, inesistenti nel manufatto cinquecentesco. Anche nel progetto presentato da Brizzi nel 1949 si cerca di diminuire il peso complessivo del ponte, temendo che le fondazioni siano state danneggiate dalle mine. Stavolta si impiega un guscio in muratura con riempimenti interni in calcestruzzo di cemento alleggerito, ugualmente estranei alla tecnica originaria. I due progetti concentrano gli sforzi su aspetti diversi ma comunque parziali, che riflettono competenze e interessi dei progettisti. Brizzi approfondisce il problema statico, mentre la forma esteriore del ponte è lasciata in secondo piano; Gizdulich invece studia in dettaglio i circa 340 conci di rivestimento recuperati e conduce puntigliose indagini su ogni possibile materiale che aiuti a ricostruire l’immagine dell’opera distrutta, ma la sua ipotesi strutturale appare semplicistica e completamente scollata dalla realtà costruttiva del ponte ammannatiano. Nel 1950 entrambi i progetti vengono respinti dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Oltre ai limiti delle due proposte, su questa decisione pesa l’orientamento assunto dagli organi del ministero, secondo i quali, salva restando la necessità di replicare fedelmente la forma e i materiali esterni, il ponte deve essere adattato alle sollecitazioni del traffico moderno sostituendo la struttura muraria interna con un telaio in cemento armato.

 

 

 

Il rudere di una delle pile del ponte a Santa Trinita dopo il minamento dell’agosto 1944. Alla sommità si notano le strutture reticolari del ponte Bailey alleato (archivio Gizdulich, Firenze)

La presa di posizione del ministero alimenta il dibattito sull’opportunità e la legittimità di usare le tecniche moderne nella ricostruzione. In realtà, fin dall’inizio il ricorso al cemento armato appare a molti come la soluzione più logica e immediata. Storici dell’arte e dell’architettura come Ranuccio Bianchi Bandinelli, Roberto Pane e Guglielmo De Angelis d’Ossat intervengono sulla questione tra il 1945 e il 1946 ammettendo l’uso di una struttura interna in cemento armato. In Italia questa tecnica era divenuta frequente nel restauro monumentale già a partire dagli anni Venti, e le distruzioni belliche ne incoraggiano ulteriormente l’impiego; nonostante ciò, nel caso del ponte a Santa Trinita molti intellettuali e gran parte dell’opinione pubblica cittadina la respingono in modo netto. Di questo avviso sono Bernard Berenson, Ugo Procacci, Mario Salmi, Edoardo Detti, Carlo Ludovico Ragghianti, il quale sostiene che «la caratteristica di un’opera d’arte consiste anche nella sua tecnica, che non è scissa dalla sua forma». La posizione politicamente rilevante di Ragghianti e il suo indiscutibile prestigio intellettuale contribuiscono a rendere più saldo il fronte degli antagonisti del cemento armato. La polemica assume dimensioni internazionali grazie a un articolo di André Chastel su “Le Monde” del 1951, a sostegno della ricostruzione integrale.

 

Nel frattempo ci si preoccupa di reperire i fondi necessari alla ricostruzione. Su iniziativa dell’antiquario Luigi Bellini e del presidente dell’Unione Generale dei Commercianti, Walfrè Franchini, nel 1948 viene costituito il Comitato per la ricostruzione del ponte, con l’obiettivo di colmare il divario tra lo stanziamento ministeriale garantito e il costo effettivo, stimato attorno ai centosettanta milioni di lire. Tra le donazioni di enti e di privati spiccano quelle di cinquantamila dollari della Kress Foundation e di diecimila dollari di Max Ascoli, un fuoriuscito ferrarese stabilitosi negli Stati Uniti.

 

La faccia interna di uno dei conci delle arcate del ponte a Santa Trinita recuperati dopo le esplosioni. Si notano simboli e numeri serviti nel Cinquecento per il posizionamento (archivio Gizdulich, Firenze)

Nonostante gli interventi della stampa, gli appelli del mondo della cultura, le argomentazioni tecniche, le iniziative politiche, il ministero dei Lavori Pubblici insiste nella determinazione di realizzare un manufatto con la struttura interna in cemento armato. Sulla base di un progetto compilato da Attilio Arcangeli, professore di Scienza delle Costruzioni nell’Ateneo fiorentino, nel febbraio 1952 l’appalto dei lavori è aggiudicato alla ditta Fratelli Ragazzi di Milano. L’appalto sarà però bloccato qualche mese dopo grazie all’intervento del Comitato per la ricostruzione, che annuncia di ritirare i fondi raccolti nel caso in cui i lavori vengano condotti con l’impiego del cemento armato. Si chiede anche il giudizio di una commissione tecnica indipendente, che certifica la possibilità di ricostruire il ponte con le tecniche originarie. Nel giugno del 1952 il Comune di Firenze può così affidare l’elaborazione di un nuovo progetto a Brizzi e a Gizdulich, rispettivamente per gli aspetti strutturali e per quelli formali.

 

Il problema di determinare con la massima esattezza forma e dimensioni dei singoli elementi del ponte distrutto viene risolto da Gizdulich attraverso procedimenti fotogrammetrici, applicati a una serie di fotografie storiche. Alcune questioni strutturali sono invece chiarite dai saggi effettuati sui ruderi delle pile. Il progetto definitivo viene ultimato da Brizzi e da Gizdulich nel gennaio del 1954; il 21 aprile 1955 il cantiere viene consegnato all’impresa appaltatrice, la ditta ing. Olinto Arganini di Roma, e i primi lavori iniziano il 2 maggio successivo.

 

Il ponte a Santa Trinita durante la ricostruzione dell’arcata centrale, 1956 (archivio Gizdulich, Firenze)

Tra i numerosi problemi che si presentano durante i lavori, uno dei più difficili è il tracciamento al vero del profilo delle arcate, tanto elegante quanto misterioso. Brizzi è convinto che ogni semiarcata seguisse l’andamento di una parabola, tracciabile attraverso l’inviluppo delle sue tangenti. Gizdulich al contrario non crede che Ammannati avesse utilizzato parabole, e piuttosto che tentare di individuare la curva geometricamente coincidente con le arcate, propone di impiegare una curva simile, ma facilmente ottenibile al vero e modificabile in modo da farla collimare con la linea reale dei profili. La curva proposta è la catenaria. Ruotando un ramo di catenaria, delineato appendendo a due punti una catenella di metallo, Gizdulich ottiene dopo numerose prove curve quasi esattamente sovrapponibili a quelle delle semiarcate che appaiono nelle vecchie fotografie. Lo stesso procedimento viene ripetuto al vero, ottenendo la sagoma necessaria per apparecchiare i conci di ciascuna delle arcate.

 

Tra l’agosto e il dicembre 1955 le strutture superstiti del ponte vengono completamente demolite e inizia la ricostruzione delle pile e delle arcate, concepite in muratura come quelle originarie, anche se con alcune inevitabili differenze. L’idea che il nuovo ponte sia una ricomposizione dei ruderi e dei frammenti del vecchio è falsa: i conci in pietra originali riutilizzati sono infatti in numero trascurabile, e per potere realizzare i rivestimenti si è costretti a riaprire la cava di pietraforte all’interno di Boboli utilizzata nel Cinquecento.

La ricostruzione ha termine nel gennaio 1958 con la ricollocazione agli accessi del ponte delle quattro statue tardo-cinquecentesche delle Stagioni, opera di Giovanni Caccini, Pietro Francavilla e Taddeo Landini. Pur danneggiate dalle esplosioni, si riesce a ricomporle interamente. Solo la Primavera rimane priva della testa. Sarà fortunosamente rinvenuta nel letto dell’Arno nel 1961, dopo anni di ricerche e interminabili discussioni su come rimpiazzarla.

 

Letture di approfondimento

  • F. Di Teodoro, L. Barbi, R. Pii, U. Tonietti, Una ipotesi sui rapporti dimensionali del ponte a Santa Trinita, Firenze, Giunti-Barbera, 1981.
  • P. Paoletti, Il Ponte a Santa Trinita com’era e dov’era. Dalla distruzione nel 1944 al ritrovamento della testa della Primavera nel 1961, Firenze, Becocci, 1987.
  • Belluzzi, G. Belli, Il ponte a Santa Trinita, Firenze, Polistampa, 2003.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 1° marzo 2013):