18 dicembre 1275: ovvero come, nell’arco di un sol giorno, Firenze è sciolta da un interdetto e fulminata da uno nuovo

di Gabriele Taddei (Università di Firenze)

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Ritratto di Roberto d'Angiò nei Regia Carmina di Convenevole da Prato, XIV sec., Londra, British Museum

Non è certo che il 18 dicembre 1275 piovesse. Indubbiamente, però, le precipitazioni erano state copiose nelle settimane precedenti, tanto che l’Arno, gonfiatosi d’acqua, rappresentava, quel giorno, un ostacolo insidioso. Soprattutto per chi, come papa Gregorio X, di ritorno dal concilio di Lione, avesse voluto attraversare il fiume senza transitare per i sicuri ponti di Firenze. Il proposito del pontefice di affidarsi, piuttosto, ai disagevoli guadi dell’Aretino era motivato dalla necessità di evitare la città del giglio, contro la quale egli stesso, due anni prima, aveva scagliato un interdetto.

Gregorio X era stato eletto pontefice nel 1271. Animato da profonda spiritualità, si era operato da subito per promuovere nelle città italiane una conciliazione tra le fazioni guelfe e ghibelline. Oltre a essere una meta di per sé auspicabile agli occhi di colui che era intenzionato a portare pace nel turbolento panorama politico del tempo, era quella una condizione preliminare per l’organizzazione della nuova crociata che Gregorio considerava il principale scopo del suo pontificato. Nondimeno, il perseguimento della pacificazione tra i due partiti avrebbe inevitabilmente stimolato le resistenze di Carlo d’Angiò. Per quanto il sovrano facesse professione di fedeltà alla Chiesa e proprio da questa fosse stato invitato anni addietro ad assumere la corona napoletana, l’Angioino s’era infatti ritagliato autonome basi di potere in Toscana e nell’Italia settentrionale. Dove, in molti comuni, con l’appoggio delle forze guelfe, gli era stata riconosciuta la qualifica di podestà.

Mausoleo di Gregorio X, inzio XIV sec., Arezzo, Duomo

Al fine di promuovere la spedizione in Palestina che tanto aveva a cuore, Gregorio indisse per l’anno 1274 un concilio generale da tenersi a Lione. Messosi in viaggio da Roma, il pontefice era arrivato a Firenze il 18 giugno 1273 prendendo dimora presso il palazzo dei Mozzi. Qui si era personalmente adoperato a raggiungere una conciliazione tra i guelfi al potere e i ghibellini esiliati. I risultati, a dire il vero, erano stati modesti. Lo stesso Carlo, ospitato quale podestà cittadino nelle abitazioni dei Frescobaldi, s’era impegnato a far fallire l’iniziativa fidando sul complice concorso della parte guelfa, principale organo di governo e garante della fedeltà fiorentina al sovrano. Gli ostacoli frapposti avevano dunque limitato a timidissimi provvedimenti i contenuti del lodo di pace pronunciato il 12 luglio 1273 sulle rive dell’Arno. E se per celebrare il misero accordo era stata finanche posata la prima pietra di una chiesa dedicata a s. Gregorio Magno, Carlo e i suoi partigiani avevano continuato ad adottare comportamenti volti a far naufragare la pace.

Deluso, il pontefice aveva lasciato Firenze e fulminato la città con un interdetto.

Due anni dopo, terminato il concilio, Gregorio era di nuovo in cammino. Questa volta in direzione opposta. Da Lione verso Roma. Giunto in Toscana, come riferisce il cronista Giovanni Villani, «per cagione che·lla città di Firenze era interdetta, e gli uomini di quella scomunicati, [il pontefice] sì non volle entrare in Firenze». Ma le condizioni dell’Arno, ingrossato dalle piene invernali, finirono col piegare l’ostinata volontà del papa, facendolo desistere dal suo proposito di affidarsi ai perigliosi guadi dell’Aretino. Per non transitare in terra di scomunicati, il pontefice fu costretto all’unico provvedimento possibile. Varcata la porta cittadina e raggiunto il Ponte a Rubaconte (oggi alle Grazie), Gregorio «ricomunicò la terra, e andò segnando la gente», ci dice sempre il Villani. La colpa della città era però troppo grave perché il perdono potesse essere elargito con tanta facilità. Così, attraversato l’Arno e uscito dalle mura, egli si voltò indietro «e scomunicò da capo la città» pronunciando contro i suoi abitanti le parole del Salmo 31: «Frenali con morso e briglia per farli ubbidire».

Ma né col morso né con la briglia Gregorio avrebbe visto i Fiorentini ubbidirgli. Morì infatti pochi giorni dopo mentre transitava per Arezzo. L’interdetto che aveva scagliato, sospeso e di nuovo scagliato sarebbe stato definitivamente revocato solo dal cardinale Latino Malabranca. Il quale, in un contesto assai mutato per la maggior autorevolezza di papa Niccolò III e per il conseguente ridimensionamento delle capacità d’azione di Carlo, potè promuovere nel 1280 quella pacificazione nella quale papa Gregorio X aveva invano sperato.

 

Lettura di approfondimento:

  • R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1972, vol. II, pp. 120-138 e 169-172.

 

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(il loro funzionamento è stato verificato il 18 dicembre 2011):