di Gabriele Taddei (Università di Firenze)
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L’orto del signor Corona, nei pressi del Ponte alla Carraia, è ampio e privo di alberi fronzuti. Forse per questo, nei primi giorni del 1784, l’archivista granducale Francesco Henrion, pistoiese dai mille interessi, lo ha scelto per un esperimento mai tentato prima d’ora all’ombra del Cupolone.
Appena sette mesi sono trascorsi dal 5 giugno 1783, quando dalla piazza di Annonay, vicino a Lione, il «globe volant» di Joseph ed Étienne Montgolfier si è librato in aria. Dalle sponde del Rodano a quelle dell’Arno la notizia, è il caso di dire, vola: entro agosto l’abate Leonardo Ximenes, che dirige l’Osservatorio fiorentino di San Giovannino, riceve una lettera dall’Accademia delle Scienze di Parigi nella quale gli si comunica l’evento epocale. Plaudendo al successo dei Montgolfier, l’abate rivendica l’originalità degli studi condotti un secolo prima da Francesco Lana, gesuita bresciano. Questi aveva intuito la possibilità di far «galleggiare per la nostra atmosfera» sottili sfere di rame. Errando, però, nell’ipotizzare di raggiungere tale traguardo svuotando i globi dall’aria contenuta al loro interno. Senza dunque considerare che, così procedendo, essi sarebbero stati schiacciati dalla pressione esterna. In che modo il bresciano sia riuscito intono al 1670 a far volare, proprio nel cortile del collegio gesuita di Firenze, un modello in scala di aeronave, così come affermato nel 1829 dall’abate Giacinto Amati, è quesito che pone una pesante ipoteca sulla veridicità dell’accaduto.
Mentre lo Ximenes ricorda i meriti del Lana, in Francia altre ascensioni si sono succedute. Il 19 settembre, sempre i Montgolfier hanno fatto volare sopra Versailles una pecora, un gallo e un’anatra. Il 21 novembre a salire a bordo della macchina volante sono stati il medico Jean François de Rozier ed il marchese François Laurent d’Arlandes, maggiore di fanteria.
Non che l’Henrion ardisca tanto. Il «globo aerostatico» da lui progettato non è infatti pensato per trasportare chicchessia. Nondimeno, che quel 18 gennaio 1784 la strana sfera riesca a librarsi dal prato del signor Corona è possibilità sufficiente ad attirare una schiera di spettatori. «Formato di carta, di una non indifferente grandezza e di bella figura», come riporta la Gazzetta Toscana, il pallone inizia ad essere riempito d’aria riscaldata. Dopo poche decine di minuti, liberato dai vincoli, inizia a salire con sicurezza. A chi lo osserva dal basso pare che raggiunga 4.000 piedi sulla verticale del punto di lancio, prima di piegare a ponente. Poi lentamente perde quota, adagiandosi infine all’interno delle mura cittadine. L’esperimento entusiasma la città. Tanto che l’Henrion si offre di costruire nuovi palloni al prezzo di 30 zecchini l’uno.
Non sarà sua, però, la macchina che nei giorni successivi s’innalzerà nuovamente nei cieli fiorentini. Perché i benedettini Agostino da Rabatta, Bernardo e Luigi De Rossi hanno già pronto un altro pallone che il 22 gennaio s’invola dalla Badia tra gli applausi della folla. L’aerostato prende quota e, sospinto dal vento verso nord, scompare alla vista dopo 4 minuti. Solo una settimana più tardi se ne apprende il destino: innalzatosi sopra gli Appennini, il pallone ha raggiunto gli Stati Pontifici toccando terra nei pressi dell’abitato di Santa Sofia.
La malattia del volo si è ormai impossessata dei fiorentini. Una gran schiera di cittadini inizia a dilettarsi nella costruzione di palloni d’ogni forma e grandezza. E così, il 13 aprile 1784, una notificazione granducale pone un freno all’euforia generale: «S.A.R., volendo prevenire […] gl’incendi che l’abuso dei palloni aerostatici fatti con aria rarefatta dal fuoco può cagionare, i quali oramai più per divertimento che per istudio si sono messi in pratica da ogni ceto di persone, è venuta nella determinazione di proibirli per le città, terre e luoghi di questo Granducato […] ogni qual volta non ne sia stata precedentemente domandata ed ottenuta licenza, la quale non verrà concessa se non […] per fare nuovi e utili esperimenti».
Prima che anche a Firenze un uomo trovi l’ardire di librarsi in cielo dovranno trascorrere altri undici anni. E’ il pomeriggio del 16 luglio 1795 quando in Piazza del Carmine viene trasportato un pallone munito di navicella realizzato su iniziativa del signor Cavaciocchi, commerciante cittadino. Angiolo Fioravanti, l’aeronauta designato, dopo qualche tentativo, rinuncia. Ufficialmente perché troppo peso, perché dotato di «poca volontà» per molti degli astanti. Alle 19.30 gli si sostituirà il più leggero Giovanni Luder «di professione trombaio … il quale aveva costruito tutti gli attrezzi necessari per questo esperimento». È lui il primo fiorentino a staccare la propria ombra da terra.
Letture di approfondimento:
- R. Baldini, Firenze il cielo racconta. Storia di uomini e macchine volanti, Firenze, Edizioni Medicea, 1993, pp. 21-39.
- D. Arecco, Mongolfiere, scienze e lumi nel tardo Settecento: cultura accademica e conoscenze tecniche dalla vigilia della rivoluzione francese all’età napoleonica, Bari, Cacucci, 2003.
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 18 gennaio 2012):
- Note sul concetto di aerostato
- Breve storia dell’aerostatica italiana
- Note biografiche su Joseph-Michel e Jacques-Étienne Montgolfier
- Note biografiche su Leonardo Ximenes
- Note storiche sull’Osservatorio Ximeniano (già Osservatorio di S. Giovannino)
- Note biografiche su Francesco Lana
- Note biografiche su Jean François De Rozier
- L’Associazione Aerostatica Toscana commemora Giovanni Luder