di Luigi Zangheri (Università di Firenze)
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Dal 3 al 5 luglio 1791, alle Cascine fu organizzato un solenne apparato festivo per l’assunzione di Ferdinando III al trono toscano. L’allestimento era stato affidato al giovane e abile Giuseppe Manetti, che già aveva dato brillanti prove nel periodo del granduca Pietro Leopoldo (1765-1790).
Prima dell’età pietroleopoldina l’odierno parco delle Cascine, recinto dall’Arno, dal Mugnone e dal Fosso Macinante, era stato una tenuta medicea detta «delle Cascine dell’Isola» in relazione alla sua morfologia. Divenuto bandita di caccia e di pesca a partire dal 1572, uno stradone lo tagliava longitudinalmente dalla Porticciola delle Molina fino alla Bocca del Mugnone. Otto poderi si trovavano a nord dello stradone, mentre il versante sud aveva una destinazione silvo-pastorale con radure e boschetti. Il padre di Ferdinando III, il granduca Pietro Leopoldo, lo aveva trasformato in parco agrario in modo da modernizzarlo e, in conseguenza, pubblicizzare la bontà della sua riforma agraria. Nella fattoria così rinnovata si sarebbe dovuto ammirare l’impiego di nuove macchine assieme alla produzione di nuovi coltivi. I campi perfettamente irrigati avrebbero garantito una resa abbondante, mentre l’architettura delle abitazioni agricole, con le stalle, i fienili, le aie e le serre, si sarebbe segnalata per un decoro sobrio e funzionale. A questo fine ogni podere delle Cascine era stato ridisegnato con un’estensione tale da assicurare il fabbisogno di una famiglia di coloni attraverso un reddito soddisfacente. Allo stesso tempo, la vicinanza della tenuta delle Cascine alla città, il suo terreno pianeggiante, l’amenità del paesaggio sottolineato dal corso dell’Arno e dalla cornice delle colline, la presenza di radure, di boschi e di viali alberati avevano favorito l’idea di dotarla di una passeggiata pubblica simile a quelle presenti nelle maggiori città europee del tempo.
Interprete della trasformazione voluta da Pietro Leopoldo fu l’architetto Giuseppe Manetti che, a soli 25 anni, nel 1785, fu incaricato dal sovrano lorenese della progettazione di un nuovo «casino di campagna», ovvero di una nuova residenza granducale. Un lavoro che impegnò l’architetto in numerose successive varianti al primo disegno, tutte imposte dal granduca, fino a che il Manetti non riuscì a formulare una soluzione corrispondente ai desideri di Pietro Leopoldo. Un progetto che venne definito a due mani, dove erano presenti le suggestioni della scuola e della cultura accademica, e le innovazioni della riforma agraria lorenese secondo il dettato fisiocratico che considerava la terra sola sorgente di ricchezza.
Per Giuseppe Manetti, dal 1785 e fino al 1796, i lavori alla tenuta delle Cascine furono continui e impegnativi. Iniziò nel 1786 con le palificate poste in opera per assicurare la stabilità del nuovo casino di campagna, il quale venne ultimato in poco più di un anno. Nel 1788 si occupò di un nuovo scalo sull’Arno in asse con il casino, nel 1791 dovette provvedere ai nuovi arredi lapidei nel parterre e alla progettazione delle fonti di Narciso e del Pegaso, e dal 1792 iniziò la ristrutturazione delle case coloniche. Nel 1793 propose di ridurre il bastione della Serpe in parterre e di arredarlo con un «tempietto chinese», e nel 1794 rettificò il prato del Quercione. Nel 1796 progettò l’abbeveratoio delle mucche nel prato del Quercione, il casino delle guardie «all’uso chinese» presso il prato delle Cornacchie, un nuovo accesso dalla Porticciola, la riduzione «in figura di piramide» della conserva di ghiaccio, e pose una colonna di marmo bianco acquistata dall’Opera di Santa Maria del Fiore nel bivio dello stradone dei Barberi.
Oltre a questi interventi architettonici, il Manetti aveva dimostrato tutta la sua competenza negli apparati festivi che si erano tenuti, il 9 settembre 1787, in occasione delle nozze della primogenita di Pietro Leopoldo, l’arciduchessa Maria Teresa, con il principe Antonio Clemente di Sassonia. Allestimenti che si ripeteranno, dal 3 al 5 luglio 1791, per celebrare appunto l’assunzione di Ferdinando III al trono toscano.
La festa per lo sposalizio dell’arciduchessa Maria Teresa aveva sorpreso, e superato «l’universale aspettativa» per «la novità della foggia chinese» ideata dal Manetti, anche se occorre precisare che per «chinese» nel linguaggio comune di allora si intendeva semplicemente ‘in una maniera un po’ bizzarra’. Il passeggio delle carrozze era avvenuto nel prato del Quercione con uno steccato «alla chinese ornato di fiaccole, fiori, e pennacchi». Al centro del prato era stata inserita un’orchestra posta su un podio ottagonale coperta da una «gran cuspide chinese a doppia curva che terminava con una bandiera sostenuta da otto colonne» ornate di pennacchi e fanali. Attorno vi erano altre cinque orchestre più piccole anch’esse «bizzarramente coperte con baldacchino alla chinese coronato di corone, di fiori, e di fanali». Nel mezzo del parterre davanti la nuova fabbrica si trovava un’altra orchestra di pianta circolare, che aveva la base rivestita di festoni di fiori, e che era coperta da una corona formata da fiori, fanali e penne poggiante su colonne. Altre cinque piccole orchestre la circondavano con gli stessi ornati. Infine, in previsione delle corse dei cavalli, era stato costruito un grande palco rappresentante «un tempio chinese, attenente al quale vi erano altri palchi destinati alla nobiltà». Alla festa del 1787 avevano preso parte più di 70.000 persone di ogni ceto e di ogni età. Dopo una corsa di cavalli tutto il parco era stato illuminato per permettere danze prolungate fino alle tre di notte.
Quando si svolsero le celebrazioni del 1791, il casino di campagna granducale era ormai ultimato e decorato, sia all’esterno che all’interno, e disponeva di una «vivanderia per i nobili e i comuni». Un luogo di ristoro destinato ad un pubblico cosmopolita che avrebbe potuto gustare colazioni «all’inghilese» composte di «te col latte, zucchero in pergamena, chifél semel», oppure una merenda toscana con «frittata, salame pane e vino», mentre il pranzo tipo offriva «zuppa e desserre» accompagnato da «caffè, cioccolata, e tutte sorte di vini forestieri come ancora del vino fiorentino più generoso».
Il Manetti predispose lungo lo stradone recinti steccati per i giochi nazionali: il beccalaglio, lo scaricabarili, quello detto di Cecco, ognuno rallegrato da un’orchestra. Nel prato della Palazzina collocò un palco per un saltimbanco, il gioco dell’altalena con una barca ondeggiante, la macchina detta «la ghenguerre o sia gioco dell’arcolaio» assieme a numerosi padiglioni. Nel prato del Quercione costruì un grandioso anfiteatro con al centro un tempio quadrilatero con due orchestre, accompagnato da due templi rotondi contenenti una giostra, i quali imitavano nel disegno le costruzioni dell’antica Ercolano. Venti gondole erano a disposizione per chi avesse voluto navigare a diporto sul fiume.
Davanti al Casino granducale l’architetto aveva disegnato «una gran macchina» raffigurante il Vesuvio. Le cronache del tempo ricordano che «per imitare al naturale più che fosse possibile quello spaventoso vulcano, tutto il giorno si era veduto uscire dalla sua alta voragine un denso fumo foriero della vicina eruzione. Non fu tralasciata neppure l’artefatta casetta del devoto romito che è situata circa la metà del dorso di detto monte». Solo a notte fonda iniziò lo spettacolo «dell’infuocata eruzione del Vulcano artificiale che divampando di tratto in tratto intense fiamme dalla sua sommità con globi di addensato fumo e rivestendosi a un punto di strisce di lumi imitanti la lava, dette con replicate e rumorose esplosioni di razzi e di fuochi, i quali si spandevano d’ogni intorno, una sorprendente idea dei più grandiosi fenomeni che presenta il vero Vesuvio».
Distribuzioni di doti alle fanciulle povere, alberi della cuccagna, corse di cavalli e di asini, e una grande rappresentazione dal soggetto mitologico impegnarono quei tre giorni. Purtroppo la festa venne funestata, la sera del 4 luglio, dall’incendio della sala che il Manetti e Giuseppe Maria Terreni avevano formato e decorato nel cortile del Casino. Furono necessari ben 825 volontari per spengere le fiamme di uno spettacolo imprevisto quanto terribile, i cui danni ammontarono a £ 9.719, un quarto di quanto costò tutta la festa. Ciò nonostante, l’indomani «tolto in tutta la mattinata con meravigliosa celerità qualunque segno dell’incendio passato, era stato adorno e ridotto per ballarvi all’aperto il cortile della Palazzina istessa, ed il contiguo giardinetto con lumiere, globi di vetro, e con ventole, formando un recinto della più galante semplicità e qui non meno che nei prati vicini abbelliti da una generale illuminazione di tutti gli edifici, delle tende e dei padiglioni, e di tutto il contorno dei boschi e degli stradoni furono fatti bellissimi balli fino quasi all’alba del giorno seguente che chiuse il corso di queste feste veramente grandiose e principesche. L’illuminazione dei loggiati e della Palazzina replicata in detta sera dava un più bel risalto a quella del cortile ove fu l’innumerabile concorso di persone pulite servito a spese della Corte di scelti gelati mentre da un lato della Palazzina medesima si dispensavano altri più adatti rinfreschi di vino e di commestibili per la minuta gente».
Per la prima volta a Firenze «un popolo immenso» fu protagonista dei «più numerosi festeggiamenti, danze, e notturne allegrie», e il successo delle manifestazioni del 1787 e 1791 dimostrò quanto fosse stato lungimirante Pietro Leopoldo nella scelta delle Cascine come luogo deputato per simili avvenimenti.
Letture di approfondimento
- [G. Cambiagi], L’avvenimento al trono della Toscana di S. A. R. Ferdinando III Principe reale d’Ungheria e di Boemia, Arciduca d’Austria, Granduca di Toscana &c, festeggiato con dimostrazioni di gioja, poesie &c, Firenze, Cambiagi, 1791
- «Gazzetta Universale», 1791, pp. 218-219, 238, 247-248, 254, 376, 383, 391, 408, 412-416, 423, 437-440
- «Gazzetta Toscana», 1791, pp. 128, 177, 183, 185
- «Notizie del Mondo», 1791, p. 235
- Rinaldi, La caccia, il frutto, la delizia. Il Parco delle Cascine a Firenze, Firenze, Edifir, 1995
- L. Zangheri, Feste e apparati nella Toscana dei Lorena 1737-1859, Firenze, Olschki, 1996, pp. 152-153, 160-163
- M. Bencivenni, M. De Vico Fallani, Giardini pubblici a Firenze dall’Ottocento a oggi, Firenze, Edifir, 1998, pp. 130-155
- L. Zangheri, Giuseppe Manetti, in Manuali e saggi sul giardino e sul paesaggio in Italia dalla fine del Settecento all’Unità, a cura di C. Benocci, G. Corsani, L. Zangheri, Roma, Edizioni Kappa, 2012, pp. 36-57
Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 1° luglio 2013):
- Immagini delle Cascine nel progetto promosso dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze sul tema “Grand Tour. Il viaggio in Toscana dei viaggiatori inglesi e francesi dalla fine del XVII agli inizi del XIX secolo”
- Note biografiche su Ferdinando III, granduca di Toscana
- Disegni di Giuseppe Manetti nella Banca dati “Archidis” dell’Archivio Storico del Comune di Firenze
- Note biografiche su Giuseppe Maria Terreni