3 aprile 1202: la resa di Semifonte

di Paolo Pirillo (Università di Bologna)

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Ruderi del castello di Pogna (Comune di Certaldo)

Il 3 aprile 1202 finiva un estenuante quinquennio di campagne militari fiorentine contro Semifonte. Quel giorno, un gruppo composto da poco più di 300 uomini adulti giurò la resa incondizionata a Firenze del centro fondato ex novo da poco più di due decenni ma destinato a essere cancellato per sempre dal paesaggio delle valli dell’Elsa e della Pesa. Infatti, l’abbandono forzato dell’insediamento da parte della popolazione venne seguito dalla sua totale distruzione e dall’obbligo, rispettato fino ai giorni nostri, di non riedificare più alcun edificio sul sito dell’abitato scomparso.

 

Era la fine di una vicenda che aveva scosso l’intera valle trasformandosi poi nel pretesto per un conflitto regionale fatto da un composito schieramento di città, comuni e signori di un’ampia parte della Toscana. Una delle pòste in gioco, in particolare per Firenze e Siena, era il controllo della valle dell’Elsa e della via Francigena che correva parallela al torrente ma anche la necessità di lanciare un preciso messaggio al ghibellinismo toscano soffocando il progetto del nuovo abitato, sorto per volontà della famiglia dei conti Alberti e sotto l’egida dell’impero.

 

Cappella di San Michele Arcangelo (Comune di Petrognano) eretta alla fine del Cinquecento dove sorgeva Semifonte

Il documento di fondazione di Semifonte, semmai fu redatto, non ci è pervenuto ma è plausibile pensare che tutto fosse iniziato alla fine degli anni settanta del XII secolo, nel periodo in cui Federico Barbarossa si era trattenuto in Italia, ripartendone nel gennaio 1178. In quel torno di tempo, Alberto IV di Berardo-Tancredi Nontigiova dei conti Alberti, ormai i principali alfieri dell’impero in questa parte della regione, avrebbe fatto innalzare – come recitava in latino una cronaca lucchese – un «nobile castello chiamato Semifonte».

 

Il castrum vedeva la luce in un’area della Toscana caratterizzata da un’alta densità demografica e aveva tutte le potenzialità per svilupparsi, assumendo dimensioni simili a quelle dei centri vicini come Certaldo, Colle Valdelsa, Podium Bonizi (l’odierno castro di Poggibonsi). In breve tempo, Semifonte attrasse infatti uomini e famiglie provenienti da località non più lontane di otto km come i profughi del vicino castello di Pogni, assalito e distrutto dall’esercito fiorentino, malgrado fosse stato loro proibito di trasferirsi nel nuovo centro fondato dagli Alberti. Con i primi anni novanta, l’espansione dell’abitato semifontese, le cui mura erano ancora in costruzione, si articolava già in due aree di incremento edilizio che avevano assunto il nome dalle due parrocchie di provenienza degli immigrati.

 

La fondazione di Poggio Bonizi, 1155. Immagine tratta dal Portale www.paesaggimedievali.it

Se da un lato questa crescita allarmava sempre di più il comune di Firenze, dall’altro le possibilità offerte dalla sempre maggiore importanza del centro e del suo mercato (già dotato di una misura: lo staio semifontese) attirarono l’interesse della badia vallombrosana di Passignano e, in tono minore, di quella di Coltibuono. Passignano, con la costruzione di uno spedale e di una chiesa che avrebbe dovuto assumere il titolo di parrocchia, aveva posto le basi nella sua successiva (e auspicata) trasformazione in una pieve interna all’abitato destinata a esautorare quella preesistente di Santa Gerusalem, relativamente lontana dal nuovo centro. In cambio, l’abate prometteva tutto il suo appoggio al comune e agli uomini di Semifonte sempre meno sostenuti dai conti Alberti, anche se molti sarebbero comunque rimasti milites (cavalieri) ed homines dipendenti della famiglia anche dopo il 1200, quando i conti cedettero il centro a Firenze. Il patrocinio di Vallombrosa su Semifonte si sarebbe rivelato utile: malgrado il sospetto che alcuni abitanti del centro insieme a forze ghibelline avessero assalito il cardinale Ottaviano da Ostia, il pontefice Celestino III lanciò un interdetto a Firenze proprio per i danni che le proprietà di Passignano avevano subìto durante un ennesimo attacco fiorentino all’abitato.

 

Dopo l’abbandono degli Alberti, le ostilità presero maggior vigore contro un antagonista sempre più debole ora appoggiato soltanto da San Gimignano e Pistoia: il comune semifontese poteva contare soltanto sulla sua élite: un’aristocrazia minore detentrice di diritti su uomini, terre, villani e coloni del resto assai diffusa proprio nell’area in cui era sorto il nuovo abitato. La fine arrivò con l’ultima campagna militare: dopo che Firenze aveva lasciato Montalcino ai senesi ottenendo in cambio mano libera per Semifonte. All’indomani del 3 aprile, iniziò la diaspora di circa 1.200 semifontesi: molti sarebbero rimasti nelle vicinanze, alcuni si trasferirono nel Senese, altri se ne andarono lontano, chi in Sicilia, chi addirittura a Parigi. Ma ovunque avrebbero continuato a definirsi come abitanti di Semifonte, anche se la loro patria era ormai definitivamente scomparsa.

 

Letture di approfondimento:

  • Signori, comunità e centri di nuova fondazione. Semifonte in Val d’Elsa e i centri di nuova fondazione dell’Italia medievale, a cura di P. Pirillo, Firenze, Olschki, 2004.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 3 aprile 2012):