10 marzo 1304: Niccolò da Prato arriva a Firenze per pacificare guelfi e ghibellini

di Federico Lorenzini

[Le parole evidenziate nel testo rinviano a link esterni elencati in fondo alla pagina]

 

 

Tommaso di Piero Trombetto, Ritratto del cardinale Niccolò da Prato, 1509. Prato, Palazzo comunale, Sala del Consiglio

Il 10 marzo 1304 Niccolò Albertini da Prato, cardinale di Ostia e Velletri nonché legato papale per la Tuscia, fece il suo ingresso in Firenze. Benedetto XI gli aveva affidato il compito di risolvere una questione spinosa: pacificare la città dopo che le lotte di fazione erano tornate ad insanguinarne le strade. Così il cronista Dino Compagni, testimone oculare di quelli eventi, descrisse l’arrivo del prelato: «Il cardinale Niccolao da Prato, segretamente domandato da’ Bianchi e ghibellini di Firenze a papa Benedetto per legato in Toscana, giunse in Firenze a dì X di marzo; e grandissimo onore li fu fatto dal popolo di Firenze, con rami d’ulivo e con gran festa». Ad ospitarlo furono i Mozzi nel loro palazzo in Oltrarno.

 

Niccolò da Prato apparteneva all’ordine dei Predicatori, ove era entrato all’incirca quindicenne accolto nel convento fiorentino di Santa Maria Novella, da dove poi, grazie anche all’aiuto del confratello Niccolò di Boccassio (il futuro Benedetto XI), era riuscito a compiere una rapida e brillante carriera giungendo al cardinalato. A Firenze trovò una città divisa fortemente al suo interno: i guelfi neri si erano spaccati in violente fazioni capeggiate da Corso Donati e da Rosso della Tosa. A loro volta i guelfi bianchi e i ghibellini, esiliati dal 1302, cercavano in ogni modo di rientrare in città, e anche gli ordini mendicanti erano in lite con alcune compagnie religiose per questioni legate a possessi fondiari.

La linea d’azione di Niccolò era chiara: ricercare innanzitutto il consenso del “popolo”, per limitare lo strapotere delle grandi famiglie, i dissensi tra le quali erano stati il motivo di rottura della pace. Egli si prodigò per favorire l’apertura di ospedali e la creazione di nuove confraternite, espressione della devozione popolare della spiritualità laica. Il 17 marzo presenziò il consiglio del capitano del popolo insieme con i rappresentanti (“capitudini”) di tutte le arti, comprese le cosiddette minori (che peraltro già nei consigli dell’aprile successivo furono nuovamente escluse). Il cardinale tentò anche di riportare in auge le vecchie compagnie di popolo che, formatesi nell’esperienza del primo “popolo” mezzo secolo prima, si fondavano sui legami di vicinato e sulla mutua assistenza, in primo luogo nella difesa dalle violenze nobiliari: il 19 aprile 1304 in piazza Santa Croce, Niccolò approvò gli ordinamenti delle nuove compagnie alla presenza delle maggiori autorità cittadine, che avrebbero dovuto accogliere i gonfalonieri delle compagnie nel governo della città.

 

Amadio Baldanzi, Notizie istoriche di Prato, post 1705-ante 1789. Prato, Archivio di Stato, Fondo Salvi Cristiani, c. 2r.

Ovviamente il legato papale cercò di ingraziarsi anche le fazioni in conflitto, nella consapevolezza che solo col loro consenso avrebbe potuto dare un esito felice alla sua missione. Una prima pace fu conclusa tra il vescovo di Firenze, Lottieri della Tosa, schierato dalla parte di Corso Donati, e Rosso della Tosa suo parente ma nemico. Domenica 26 aprile 1304, questa volta in piazza Santa Maria Novella, si procedette a una pacificazione generale: si riconciliarono non solo le fazioni ma si ricomposero anche le liti tra le singole famiglie, i cui odi reciproci avevano alimentato lotte accanite all’interno della città. Si stabilirono anche i termini per la riconciliazione tra i delegati della parte bianca in esilio e i sindaci della parte nera.

 

Va detto però che la scelta di Benedetto XI di inviare a Firenze proprio il cardinale pratese non aveva raccolto molti consensi in Firenze: i Neri lo accusavano di filo-ghibellinismo, i Bianchi avrebbero preferito un guelfo puro. L’operato pacificatore di Niccolò non piaceva né a Corso Donati né tantomeno a Rosso della Tosa, che non vedevano di buon occhio la situazione delineatasi dopo gli accordi solennemente celebrati in piazza Santa Croce e in Santa Maria Novella. Su pressione dei Neri, il legato si recò a Prato insieme a Geri Spini – uomo di Rosso della Tosa – per tentare di pacificare anche l’eterna rivale ghibellina di Firenze: Niccolò fu ben accolto dalla popolazione nella sua città natale. Da qui si diresse poi alla volta di Pistoia, allora roccaforte bianca guidata da Tolosato degli Uberti: questi consegnò la città a Niccolò, mentre nei piani dei Neri fiorentini Geri Spini avrebbe dovuto ottenere il reggimento della città direttamente dal cardinale. Quando nel viaggio di ritorno Niccolò si fermò nella sua città natale trovò le porte cittadine sbarrate e una rivolta popolare sobillata da Corso Donati lo costrinse a una fuga precipitosa verso Firenze.

Anche qui la pace durò poco: all’inizio di giugno le voci sparse ad arte dai Neri, che calunniavano il cardinale di parteggiare apertamente per i ghibellini, sortirono il loro effetto. La rivolta scoppiò più violenta di prima e Niccolò da Prato dovette fuggire, dopo che anche un dardo di balestra si conficcò nella finestra della sua stanza nel palazzo dei Mozzi, scagliato dalla abitazione dei vicini Quaratesi. Il 10 giugno 1304 egli lasciò di nascosto la città, sulla quale scagliò l’interdetto e in cui non fece più ritorno.

 

Lettura di approfondimento

  • I. Del Lungo, I Bianchi e in Neri, Milano, Hoepli, 1921.

Elenco dei link in ordine di citazione (il loro funzionamento è stato verificato il 10 marzo 2012):